domenica 23 maggio 2010

annalisa guglielmi racconta

Cara Susanna,
ieri stavo mettendo a posto un cassetto pieno di foto e mi sei venuta in mente. Ti ricordi di quella foto che abbiamo fatto durante la gita a Vienna in cui ci siamo io, te, Paola Marasca e Stefania che facciamo capolino tra un albero? Mi sembra di rivivere quel momento di spensieratezza…il sole e quattro musetti sorridenti. Era il 1984 e quel viaggio rappresentava per voi il fine liceo e per me e Paola un ultimo assaporare quel clima goliardico e protettivo prima di affrontare la vita adulta. Mi ricordo il nostro professore di Italiano, Campus e le sue recitazioni a memoria di tutti i canti della Divina Commedia.. e di quanto ci siamo divertiti. Non credo di avertelo mai detto ma ti ammiravo molto, spiritosa, simpatica e molto carina e poi … un modello da imitare per come ballavi!! In discoteca, facevo sempre in modo di mettermi vicino a te per carpire qualche nuovo passo, ma non troppo per non sfigurare!
Ho ancora in mente la tua agilità e leggerezza durante una di quelle lezioni di ginnastica che si facevano tre le due classi, in cui dovevamo sfidarci a salire la pertica. Io ero piuttosto brava e avevo sbaragliato parecchie avversarie, ma quando arrivò il momento della sfida diretta non ci fu storia, fui miseramente battuta…
Come facevi a essere così normale e a “non tirartela al massimo” (come dicono le mie figlie)? Tante altre meno belle, meno intelligenti e meno simpatiche erano insopportabilmente consce, mentre con te era tutto molto naturale e semplice.
Adesso come sai vivo a Milano, ho due figlie che si stanno affacciando alla vita e mi faccio tante domande: e se non fossi partita da Roma? Pur nelle tante difficoltà che ho dovuto affrontare, il mio distacco, chiamala fuga se vuoi, mi ha aiutato molto. E se fossi rimasta, ce l’avrei fatta comunque ad avere una vita normale? Sinceramente non lo so. Adesso, non vorrei fare gli sbagli che ha compiuto mia nonna e neanche quelli di mia madre, ma non so quale è la strada. Ho scoperto però che è molto difficile fare i genitori e anche … “perdonarli”.
Ti scrivo perché per me che sono lontana, sei ancora a Viale Parioli e mi cullo in questa illusione. Ogni volta che ci passo quando vengo a Roma, ti penso. So che in questo modo rifiuto di accettare la realtà.. l’inaccettabile fine di una persona meravigliosa, apparentemente così perfetta e forte ma in realtà fragile come un cristallo. E mi dispiace moltissimo averlo capito troppo tardi.
Ciao Susi

Anna Lisa

Cara Silvia,

eccomi, è stato difficile ... ma Susanna è nel mio cuore e volevo proprio .. in un secondo invio ti mando anche la foto di cui parlo.

un bacio

anna lisa

stefania ceino racconta

Ricordo molto bene il periodo in cui andavo con Susanna a nuoto libero, al Circolo sportivo delle Muse, ai Parioli, dove abitavamo entrambe.

A volte venivano anche Silvia e Simona, e dei loro amici. Erano domeniche estive, allegre, gioiose. Noi eravamo allegre, gioiose, giovani, piene di vita.

Susanna era……Spumeggiante. La ammiravo molto perché adorava lo sport e perché, ai miei occhi di adolescente un po’ timida, lei appariva tutto ciò che io non ero. Sembrava sicura di sé, mentre io mi sentivo sempre impacciata, ed aveva molti ammiratori perché era una bellissima ragazza. Io, vicino a lei, mi sentivo proprio come il brutto anatroccolo.

…….Poi il tempo è passato e lentamente ho scoperto nella mia amica una certa fragilità emotiva, una profonda sensibilità, un’attenzione agli altri che dimostrava in tanti piccoli gesti e nelle parole.

Questo suo profondo altruismo lo ha dimostrato sino alla fine.

Io ho parlato con Susanna, l’ultima volta, il martedì precedente la sua morte, accanto a quella stessa finestra dalla quale hanno poi portato via il suo corpo privo di vita: la finestra del nostro pianerottolo, al primo piano del palazzo di Viale Parioli.

Lei era veramente disperata e da tempo pensava di togliersi la vita, ma mi disse:

“Non so se riuscirò a farlo, perché amo troppo la mia famiglia e so che provocherei loro un dolore molto profondo. Al tempo stesso, però, non trovo più su questa terra quella Pace che mi potrebbe far andare avanti. Non ce la faccio più!”

Io ero sconvolta. Le dissi tante cose. Ci siamo dette tante cose, ma lei continuava con questo ritornello ossessivo:

“Ormai la Pace la posso trovare solo in Cielo”.

Allora mi aggrappai alla fede, una fede che sapevo essere profonda in lei, e anche in me.

“Susy: lo sai che la Chiesa sostiene che i Suicidi non andranno mai in Cielo e non troveranno mai la Pace?”.

Lei aveva lo sguardo fisso nel vuoto, mi guardò a lungo, poi scosse la testa.

“Stefania, a me hanno insegnato che Cristo è infinitamente MISERICORDIOSO. Io sono disperata. Non credi, dunque, che Egli, nella Sua immensa bontà, possa perdonarmi e portarmi presso di sé, nella LUCE?”

Quelle parole penetrarono in me. Non seppi più cosa dire, anche perché anche io in quel periodo non stavo molto bene.

Fissai la mia amica. Dissi debolmente:

“Abbi pazienza. Conosco un bravo neurologo. Lo chiamo. Uno dei prossimi giorni ci andremo insieme. Ti prego…..”

Ma lei non mi ascoltava più.

I suoi bellissimi occhi erano spenti, la sua anima, soprattutto, era avvolta da un’oscurità profondissima.

Ci siamo lasciate così.

La domenica successiva è accaduto.

Susanna si è tolta la vita.

Mi sono sentita schiacciata, annichilita, per moltissimi mesi. Non volevo più vivere nemmeno io.

Non so quando sono riuscita esattamente ad uscire io stessa dal tunnel, e a dirmi che quella morte non poteva essere stata vana, che io dovevo riprendermi e continuare a vivere anche per lei.

Nessuno saprà mai perché il Signore non l’ha fermata, perché non ha mandato un Angelo ad arrestare il suo volo di morte, ma so che Susanna è nel Regno di Dio, da molto tempo.

Una sera di tanti anni fa ho sentito forte il bisogno di pregare per la mia amica. In casa, da sola, ho acceso una candela, ho chiuso gli occhi, mi sono rivolta a Gesù, poi ho iniziato a piangere, e piangendo sussurravo:

“Susy, dove sei? Stai bene?”

Quando ho riaperto gli occhi ho notato che la fiamma della candela si era allungata, tremolava, anche se non c’erano correnti d’aria, ed emanava un fortissimo calore.

Mi sono fatta il segno della Croce e ho pensato: “ Sì, ora la mia cara amica sta bene, è immersa nella Pace e nella Luce del Signore”.

Ciao Susy: grazie per esserci stata, grazie per tutto ciò che sei stata.

Ti voglio bene e ti porterò ogni giorno con me!





Silvia cara, questo è ciò che, a tarda notte, sono riuscita a scrivere.

Non è molto, ma è ciò che avevo dentro e che ha preso forma

Ti mando un bacio.

Abbraccia zia Bianca da parte mia e anche Simona e tua mamma.

Con affetto.

Stefania

venerdì 30 aprile 2010

stefania lenci racconta:

Una domenica mattina mi chiami, “Stefania, andiamo a pattinare a Villa Borghese?”. Ero felice, “Susanna mi considera sua amica!!” Eravamo piccole, quattordici o quindici anni, credo. Era primavera, una bella giornata di sole.

Credo che la nostra vera amicizia sia cominciata quel giorno: un fiume in piena che non si è mai fermato. Purtroppo un giorno ha straripato portandosi via tutto: gioie, dolori, adolescenza, spensieratezza…. la tua vita. E la nostra amicizia? Quella nel mio cuore è rimasta!!

Ero felice di diventare tua amica, eri molto più “fica” di me: eri simpatica, spigliata, diretta, disinibita, disinvolta,….

Sei sempre stata più “fica” di me. La tua visione del mondo, delle persone era pura: tutti meritano rispetto, nessuno può essere giudicato. Eravamo a viale Parioli, ti dissi che volevo fare il magistrato, mi dicesti “non potrei mai giudicare qualcuno!” Non ho più fatto neanche giurisprudenza, chissà se è stato un caso!

E l’amicizia? Per te era un libro aperto, niente segreti, niente secondi fini, era dare senza pensare di dover ricevere. Ti lasciò perplessa quell’amica che ti disse: “avevo investito tanto in quella persona ed ora mi accorgo di aver perso tempo”; dicesti, “come investito? L’amicizia non è un progetto, non bisogna aspettarsi un ritorno” Ti fidavi di tutti ed ammiravo il tuo coraggio: quando andasti di notte a Villa Ada con quelli mai visti in vita tua? Quando a Paxos ci ritrovammo di notte in barca con un “lupo solitario” e il suo cane “andiamo”? Non era superficialità la tua, ne’ incoscienza; la forza te la dava la fiducia negli altri. Da “quel” giorno non smetto di chiedermi perché verso di te non avessi quella stessa fiducia.

Tutti ti “amavano”, non è un modo di dire, è la verità. A quanti uomini hai spezzato il cuore? Quante Amiche hai conquistato? Noi eravamo tutti diversi, eppure ugualmente attratti verso lo stesso polo. Ognuno cercava di “trascinarti” verso il proprio mondo, ma tu eri di tutti!!

Stefania

teresa di micco racconta :

Me ne sto li', imbambolata, con quella frase che mi ronza in testa.
Un attimo si dilata in un millennio e per un millennio non faccio che pensare a quella frase.
Non se ne e' più' parlato, dopo, e quella frase e' rimasta li', galleggia sull'onda che si infrange sulla battigia.
E torna, e torna, nei miei pensieri. Quando meno me lo aspetto torna con tutta la sua forza, con tutta la forza che si permette, con tutta la forza che mi trasmette.
A volte cerco quella battigia, quell'onda, quella frase, perché' mi dia la forza.
Non se ne e' più' parlato...
Come se ne può' parlare ancora?
Sono distante mille miglia, da quella frase, da quella persona che me l'ha detta, dall'avvento che l'ha scaturita.
Ma quando torno a quella battigia e' come se fosse ieri. E si infrange con violenza, con la sua forza che mi annienta, ma che mi da la forza, dolore ma sollievo.
Eravamo bambine, o almeno cosi' mi ricordo. Invece eravamo ragazze. Forse bambine che quella frase, quell'evento, ha trasformato in donne in un attimo. Per la violenza che nessuno si aspettava.
Susanna e' morta e Marisol me l'ha detto: "non puoi capire, perché sei viva".
Ci sono delle frasi che non sono storicamente seguite da altre e poi da altre e poi da altre ancora. Così' sono li', vivide ed ultime. E mentre il tempo passa, loro rimangono li'. E piano piano si scolpiscono nella memoria. Diventano fonte di sostentamento.
Perche' sono viva, mentre lei e' morta. E cerco sostentamento in quella frase. Dolore e sollievo....
Perche' sono viva? Perche' lei e' morta?
"non puoi capire perché' sei viva".
Non posso capire, ma posso ricordare.
Ogni giorno, non dimentico se non posso capire.
Non dimentico e non capisco.
Non dimentico che non c'e' una meta' di me, questo lo so

martedì 20 aprile 2010

cesare amidani racconta

Rosso come gli scarponi

Ho deciso di scrivere quello che è stato il mio contatto con Susanna, dividendolo in tre parti e dando loro un colore che le caratterizza.

Conobbi Susanna nel 1985, Natale. Lei, una sua amica Cecilia, un mio amico Alessandro ed io decidemmo di andare a sciare per le vacanze Natalizie. Tutti e quattro frequentavamo l’ISEF, conoscevo Alessandro, mio compagno di corso e Cecilia amica sua.

Partimmo per un paese nel Trentino che si chiama Cavizzana dove Alessandro aveva casa con la mia ritmo diesel bianca, un cesso di macchina che mangiava olio e candelette a volontà.

Io avevo una attrezzatura sciistica da paura: scarponi tecnica del 1920 e sci maxxel dello stesso anno o quasi, con le cozze sotto la soletta ed al posto delle lamine…nulla! dimenticavo gli attacchi Tyrolia con cinghietti, praticamente l’ultimo dei moicani (lo ski stop era diventato d’uso da vari anni).

Il secondo giorno i miei scarponi esalarono l’ultimo respiro e si spaccarono i mille pezzi. Susanna, con la quale avevo scambiato 2 parole dico due, si prodigò per rimediarmi gli scarponi. Mi fece provare un paio di scarponi ROSSI della Nordica (marca che ancora porto, chissà se è un caso non gli scarponi che restituii alla fine della vacanza).

Questo fatto mi colpi molto perché mi fece intravedere la sua generosità e forse mi feci qualche illusione………

Ricordi nitidi sono quelli dove Lei e Cecilia ballavano in macchina una canzone dal titolo “I never be maria maddalena” che avevo registrato in malo modo dalla radio, improvvisandomi DJ, ed ogni volta che attaccava il ritornello loro due si agitavano in una danza particolare che io adocchiavo dallo specchietto retrovisore.

Non so esattamente il motivo ma ad un certo punto della vacanza litigammo. Io ed Alessandro offesi da un parte e Cecilia e Susanna dall’altra. Gelosia nei confronti di alcuni maschi latini che avevano rivolto la parola a loro?? Non mi ricordo. Il fatto fu che non ci si rivolse la parola fino a quasi la partenza per poi chiarire il tutto. La mattina prima di partire aiutai Susanna a portare il cavo della antenna a casa della nonna, ove ci eravamo trasferiti nel frattempo. A proposito conobbi anche Silvia ed il suo simpaticissimo ragazzo Maurizio.

Quella mattina io e Lei rimanemmo a casa e Lei fece un gioco, i ricordi sono vaghi ma era inerente ad una storia del tipo: se ti perdi in un bosco e trovi una chiave che fai? Se trovi questo che fai? E cosi via. Quello fu il contatto visivo ed emotivo più forte che ebbi con Lei e non vi nascondo che mi sarebbe piaciuto baciarla.

Riscoperto il piacere di sciare, tornato a Roma mi comprai l’attrezzatura nuova e ricominciai a sciare. Nel 1986, a marzo, andai a sciare con Cecilia e Susanna in settimana bianca ma quella volta le cose non andarono bene, il motivo non lo scrivo perché è irrilevante in questo contesto ma il risultato fu che io Alessandro, Cecilia e Susanna non ci frequentammo più come prima ed io e Susanna ci perdemmo di vista……

In quell’anno incontrai mio padre che non vedevo da quando avevo 6 anni, praticamente non lo avevo mai conosciuto, e questo è un fatto che coincide con il mio incontro con Susanna, sarà un caso?

Giallo come il vestito

Allora dove ero rimasto………ah si!

Dopo la settimana bianca del 1986, ci perdemmo di vista, anche se continuavamo a frequentare l’ISEF.

Poi una mattina mi sembra per l’esame di pedagogia, la vidi: era dimagrita rispetto agli anni precedenti, leggermente abbronzata, insomma in grande forma.

Cercai di salutarla ma nel caos del momento non ci riuscii. La sera stessa feci un sogno, dove vi era lei.

Così colto da uno dei miei raptus che hanno condizionato nel bene e nel male la mia vita decisi di chiamarla. Ricordo che trovai un numero di telefono con scritto Susanna ma non corrispondeva al suo, non tenevo un’agenda e neanche oggi, ma solo un mucchio di foglietti con scritti numeri di telefono spesso senza neanche un nome! Cercai in tutti i cassetti ma nulla!

Fu così che mi decisi, a malincuore, di telefonare a Cecilia, che non vedevo da tempo. Mi inventai qualcosa ed alla fine ebbi l’agognato numero.

La chiamai e ci demmo appuntamento sotto l’ISEF.

Mi ricordo che era giugno, perché di li a poco sarei partito per Londra. Andammo a prendere un gelato in un bar alle pendici di una delle salite più ostiche di Roma, chiamata dai motociclisti il K2, a ridosso dello stadio Olimpico. Era abbronzata ed indossava un vestito giallo, con una scollatura non evidente e le braccia scoperte; stava molto bene.

Iniziai a farfugliare qualcosa, o meglio a mettere insiemi suoni gutturali di varie tonalità stando attendo a non rovesciarmi addosso il gelato che si stava sciogliendo un po’ dal caldo ma molto per via della mia temperatura corporea giunta intorno ai 90 gradi.

Penso che mi abbia scambiato per un demente! Lei ascoltava in silenzio ed il ricordo nitido fu che i moscerini erano attratti da lei, forse dal suo profumo, dal suo vestito o forse si allontanavano da me per via della temperatura, non so. Fatto fu che non le davano tregua!

Ad un certo punto le dissi che mi piaceva e Lei mi guardo negli occhi, mi sorrise e con un tono squillante ma piacevole mi disse: “ ma io sono fidanzata!”

Quella frase mi fece traballare come un pugile suonato ma allo stesso tempo mi sentii sollevato per essere riuscito a comunicarle le mie emozioni.

Mi ricordo che scherzammo ed alla fine la riaccompagnai sotto l’ISEF.

Da Londra le spedii una cartolina e poi, era Settembre, mentre mi trovavo a Parigi da una girl, chiamai casa. Allora i telefoni cellulari non esistevano per cui chiesi a questa ragazza il permesso di far sapere a mia madre che ero ancora vivo. La mamma tra le solite raccomandazioni mi ricordò che aveva chiamato una certa Susanna. Il mio cuore sobbalzò e chiesi Susanna Ferri? E mia madre di rimando: no un’altra, non lei.

Ebbi la tentazione di salire in macchina e partire di corsa ma non potevo…….

Al mio ritorno la chiamai e qualche volta uscimmo, ma non da soli, con la vecchia compagnia di quella gita in montagna ed altre persone.

All’inizio del 1989 mi segnai all’Università per diventare Fisioterapista, la mia professione attuale, conscio che sarebbe stato più facile passare per la cruna di un ago che entrare a scuola come professore di educazione fisica.

Intanto gli incontri si erano di molto diradati e nel 1990, in un pub dalle parte di viale Regina Margherita dove alcuni amici comuni (lo scoprii dopo) suonavano, lei mi vide e sorridente mi venne a salutare.

Parlammo del lavoro, che non c’era, e di altre cose. Lei era solare e mi apparve molto serena. Ci salutammo, le diedi il mio telefono di casa, ma non la sentii mai.

L’ultima volta che la vidi era il 1991, fuori dal cinema Excelsior o roba simile a via R. Margherita. Io stavo con una girl ed un paio di conoscenti, lei mi pare con un ragazzo. Mi colpii il suo viso triste e la sua cupa espressione. Ebbi la netta sensazione che non stava bene e che volesse parlarmi. Anche io volevo parlarle,la guardai, la salutai con un cenno della mano e non feci più nulla……….

Il 26 giugno del 1992, mentre in una pausa del lavoro sfogliavo il messaggero del giorno prima, guardando la pagina dei necrologi, rimasi colpito a morte: difatti lessi l’annuncio del trigesimo di Susanna Vaccarezza. Il cognome particolare ed il nome non mi fecero avere dubbi. La sera provai a contattare delle persone che ai tempi dell’ISEF la conoscevano ma nessuna sapeva.

Provai a cercarla al Verano ed a Prima porta ma nulla…….

Non sapevo dove fosse e soprattutto cosa le era accaduto.

Durante una festa, e siamo nel 2003, incontrai delle ragazze che la conoscevano. Chiesi se sapevano il motivo della sua morte e loro mi spiegarono cosa era successo ma non i motivi.

Il pezzo di giornale con il necrologio lo avevo messo accanto, nel portafoglio, a quello di mio padre.

Rimasero insieme per lunghi 14 anni fino a quando, una sera d’estate del 2006, un/a ignoto/a gentil persona mi rubò il portafoglio.

Non vi nascondo il turbamento che ebbi, la patente, i documenti, i soldi, tutto potevo riavere, tranne quei due pezzetti di carta e la foto tessera di mia figlia Elisa.

Un giorno verso l’ora di pranzo, vedendo il TG2, vidi che la conduttrice dello stesso era Silvia Vaccarezza. Fu allora che decisi di contattarla per sapere dove fosse Susanna.

Rintracciai un indirizzo su internet e le scrissi, presentandomi, raccontando come avevo conosciuto Susanna e che era mia intenzione portarle un fiore.

Silvia mi riscrisse dicendomi che lei riposava a Maccarese e che volentieri mi avrebbe accompagnato.

Azzurro come gli occhi di Elisa

Con Silvia ci incontrammo dopo piazza Irnerio. Avevo comprato dei fiori gialli (giallo è il mio colore preferito) e ci recammo a Maccarese.

Durante il viaggio le raccontai quello che più o meno state leggendo. Silvia mi disse cosa e come era accaduto.

Arrivati ci fermammo davanti alla tomba, rimasi colpito dai pupazzi e dalla foto che la ritraeva in barca, vestita di bianco, con lo sguardo altezzoso rivolto al vento ed il sole in faccia. Mi colpi l’azzurro di quella foto, come gli occhi di mia figlia. Chiesi a Silvia dove fosse quel posto e lei mi disse a Vulcano.

Quei posti mio padre li conosceva molto bene essendo vissuto a Lipari per più di 10 anni ed io stesso ero andato li per una settimana a luglio di quell’anno (2006).

Ci sono delle storie che si intrecciano o siamo noi che vogliamo così. A me piace pensare che il mio incontro con Susanna e quello che ne è scaturito non sia frutto del caso, ma di un disegno....

Con Silvia di tanto in tanto ci scambiamo dei messaggi ed il 24 maggio da quell’incontro, ci si incontra per la messa.

Ogni tanto nelle piaghe delle mie tristezze, quando affiorano, ripenso a quello sguardo perso e quella che mi sembrava una richiesta di dialogo da parte sua in quel lontano 91. Conservo con me il rimpianto di non averle parlato e non so se avrebbe modificato qualcosa….. Ho imparato a non lasciar mai nulla in sospeso però.

Grazie Susanna per gli scarponi rossi, il vestito giallo, il tuo sorriso…. E l’azzurro!

Cesare

giuliana agrò racconta

Ciao Susy,

sono qui e ti scrivo come se non fosse passato tanto tempo.

Ricordo i giorni del liceo che abbiamo trascorso insieme. Tu portavi sempre una ventata di allegria e sicurezza. A me davi questa bella sensazione: mi trasmettevi forza e positività. Gli altri mi vedevano un po’ aggressiva, tu invece avevi avvertito la mia fragilità ed istintivamente ti veniva da sostenermi .Giuro che non ricordo una volta che abbiamo litigato, allora sicuramente penso fosse merito tuo, del tuo carattere,visto che il mio era così fumantino .

Ricordo che la prima volta che ci siamo conosciute è stato durante una partita di pallavolo all’Ippolito Nievo,eravamo avversarie, tu probabilmente avevi vinto la partita, ma come se niente fosse, senza farlo pesare, sei venuta verso di me e mi hai stretto la mano dicendomi – Ciao, sono Susanna!-. Da quella volta siamo rimaste amiche sempre, un’amicizia spontanea, naturale, che c’era comunque, anche se passavamo del tempo ( come quando è finito il liceo) senza vederci.

Non volevo mai sfigurare con te, mi colpiva la tua capacità di capirmi e di entrare subito in sintonia con me.

Ricordo i mille colori che usavi in estate,ti compravi sempre dei vestiti un sacco carini ed anche dei costumi da bagno a fiorellini o a righine sfiziosissimi che sulla tua abbronzatura e i tuoi occhi celesti erano perfetti. Non per niente tutti i ragazzi erano pazzi di te, e non lo dico per piaggeria, ma perché è vero. Avevi qualcosa che li catturava al di là della bellezza che pure avevi,e che li faceva pendere dalle tue labbra. Penso fosse proprio quel tuo essere spontanea e quel tuo amare la vita con un’energia e ed uno slancio che erano rari da trovare in altre persone. Io stavo lì a guardarti, catturata anch’io dalla tua simpatia e vitalità infinita. Come durante una settimana bianca,eravamo tutti in pullman e stavamo tornando in albergo; ad un certo punto ci deve essere stato un guasto o qualcosa di simile fatto sta che l’autista si è fermato sul ciglio di una strada innevata a fare una telefonata,tutti noi dentro più o meno a lamentarci dell’accaduto; stavo anch’io considerando la situazione , ma poi mi giro verso il finestrino e vedo te, Diego Lemme ed altri ragazzi maschi che stavate giocando a palle di neve .Sarei stata ore a guardarti: era uno spettacolo, perché tenevi testa a tutti quei maschi scatenati che cercavano di colpirti con le loro palle di neve, era una lotta divertente e fuori programma, dopo una giornata intera passata a sciare, tu giocavi con spontaneità ed allegria non preoccupandoti di cose che avrebbero messo in crisi parecchie componenti del nostro sesso tipo sgualcirsi, rovinarsi il trucco i capelli e così via . No, a te in quel momento interessava giocare con Diego e gli altri ad armi pari, ed era questo , credo , che più li attraeva in te.

A scuola ci divertivamo tanto insieme,io ogni mattina capivo al volo il tuo umore ogni qualvolta entravi in classe. Incedevi altera, ma eri la mia Susy e per lo più eri sempre di buon umore. Solo una volta ricordo di aver capito che c’era qualcosa che non andava ed era per il tuo fidanzato, come poi mi avevi raccontato.

Di solito però eravamo spensierate, arrivavamo nel cortile del Mameli con i nostri moto Morini ( io l’avevo comprato come il tuo ) li legavamo con la catena come si faceva a quei tempi, e poi seguivamo le lezioni piacevolmente. Ricordi quante risate ci faceva fare il Professor Campus? Ci piaceva tanto, ammiravamo tanto il suo sconfinato amore per Dante Alighieri,ma noi vedevamo anche il suo lato buffo, di professore tra le nuvole che ogni tanto si astraeva un po’ da noi. E poi prima avevamo avuto anche la Cavallari che era severa e che ci faceva studiare un sacco. Ci ha rimandate un anno , ricordo una lettera che tu mi mandasti da Porto Santo Stefano ed in cui mi dicevi che stavi studiando molto per il tuo esame di riparazione .Ma tu prendevi tutto bene,e facevi tutto con entusiasmo. Oltretutto ricordo che nello studio tu, come anche le tue sorelle, eri molto seria e ti ci dedicavi volentieri. Di solito all’uscita da scuola prendevamo i nostri motorini e tornavamo a casa per poi rivederci il pomeriggio. Una mattina invece, non ricordo bene perché, ma Federico Bonato ci aveva prestato il suo piccolissimo motorino per farci tornare a casa insieme. Non ricordo di che marca fosse, ma non era né un boxer né una vespa né un ciao, no ,era una marca molto meno comune che aveva fatto questo modello piccolissimo in cui noi siamo riuscite a montare su insieme ( tu davanti ed io dietro) ed a sfrecciare verso Piazza Pitagora. Io mi reggevo forte a te ,ma non avevo paura ( quella mi è venuta con gli anni purtroppo). Arrivate su al semaforo ti sei girata verso di me e mi hai detto -Ammazza pista ‘sto zanzarino!- e abbiamo cominciato a ridere come due pazze e mi sa che abbiamo smesso solo verso via Ristori dove io abitavo. Tu eri così trovavi sempre la battuta giusta al momento giusto .Eri irresistibile!Ridevamo tanto insieme, anche per piccole cose come questa eravamo spensierate, eravamo felici. Tu eri sempre gentile con tutti, solo con la tua mamma avevo notato ti scontravi spesso e adesso che sono mamma anch’io di un bambino che mi sfida spesso,, ho la presunzione di aver capito il perché; l’amavi troppo e non potevi fare a meno di lei tu che sei sempre stata così uno spirito libero. Sono sicura che tua mamma lo sa, ma anch’io che sono tua amica lo so.

Un’altra volta correvamo con i motorini alla volta dell’Euclide,dove spesso andavamo a fare merenda ; io mi prendevo sempre un bignè alla crema e tu una pasta al cioccolato con pastafrolla sopra e sotto ricoperta di zucchero a velo. Siamo uscite fuori dal bar con le nostre paste in mano ed abbiamo cominciato ad assaporarle. Avevo quasi finito quando mi accorgo che mi ero sporcata di zucchero, istintivamente esclamo- Sono tutta sporca!- e tu, con aria furbetta mi guardi negli occhi e mi rispondi – Io no!- Ti guardo ed eri letteralmente cosparsa dello zucchero a velo della tua pasta al cioccolato. Abbiamo riso tantissimo, mentre cercavamo di pulirci alla bell’e meglio i golf e i pantaloni.

Abbiamo passato tanti giorni così spensierati e felici. Non so perché sto parlando proprio di questi momenti in particolare, visto che ne abbiamo passati tantissimi insieme,è che io con te mi sentivo bene, al sicuro, sapevo che non mi avresti mai messo in difficoltà, anzi , fra noi non c’era competizione, tu sapevi mettere le persone a proprio agio. Abbiamo anche fatto tanti viaggi insieme: in Grecia, all’isola del Giglio, in Puglia ad Otranto mi sembra . E tu eri sempre il mio punto di riferimento e la mia amica del cuore. Ovviamente andavamo in gruppo,spesso c’erano Marysol, Paola, Teresa, ma tu eri il mio trait-d’ union con gli altri, perché io non avevo la tua stessa facilità di avere amici e di conoscere le persone . Mi hai sempre aiutato in questo. Solo una volta è avvenuto il contrario e cioè quando tu sei diventata amica di Luigi Palumbo che era già amico di mia sorella Betta e mio. H o provato molta gioia per questo, e quando stavamo tutti insieme sentivo tanto amore intorno a noi.

Siamo state insieme a Porto Santo Stefano nell’82 quando l’Italia ha vinto i mondiali. Avevamo seguito tutte le partite insieme a Roma,ma per la semifinale Italia Brasile eravamo in Toscana, io ospite da te, ed abbiamo fatto il tifo da un bar del porto insieme a tante altre persone e ricordo che era stato molto divertente. Sventolavamo la bandiera e poi correvamo con i motorini a festeggiare.

Insieme abbiamo vissuto anche la notte prima degli esami di maturità. Avevamo gli orali insieme perché era uscita la lettera “b” e noi siamo state interrogate negli ultimi giorni. Tu quella notte hai dormito a casa mia : eri tranquilla, sicura, come al tuo solito. Io ti guardavo e cercavo in te la calma necessaria per affrontare il giorno seguente. Abbiamo chiacchierato di tante cose, abbiamo riso e scherzato…come mi manca quella spensieratezza che vivevamo insieme! Sapevamo che il giorno dopo sarebbe stato un giorno importante, ma noi abbiamo fatto passare pian piano quelle ore con serenità, senza angoscia, perché eravamo insieme.

Ti sogno spesso Susy e sogno di quel giorno che nessuno di noi che stiamo qui a scriverti,a pensarti,a portarti nel cuore avrebbe mai voluto vivere. Sogno, come tutti noi avremmo voluto, di tenderti una mano e di fermarti prima di quel momento di follia che ti è costato e ci è costato così caro. Poi sogno che non è successo niente, che ci hai fatto uno scherzo a tutti e che sei su un’isola a goderti il sole e il mare, e questo lo sogno spesso. E’ un sogno vivo, reale, che confondo con la realtà al mio risveglio, che mi fa dubitare che tu non sia qui in questo momento con noi. E poi se fosse davvero così? Se lo spazio e il tempo non fossero che rigide convenzioni inutili? Allora potremmo riunire tutte le nostre vite e tornare a ridere e scherzare con tutte le persone che ci vogliono bene. Si, il tempo è una convenzione stupida, e come mi hai insegnato tu, io non credo alle convenzioni, non mi piego a loro e sono qui con te in questo momento, finalmente libera di volere bene a chi mi vuole bene, al di là del tempo. Ciao Susy. La tua Giuli

giovanni miraldi " brusco"

Purtroppo ho una pessima memoria, ma in 36 anni di vita ricordo benissimo di aver detto ad una sola ragazza che un giorno ci saremmo sposati. Quella ragazza era Susanna. Ora lasciate perdere il fatto che quando l’ho detto avrò avuto 5 o 6 anni. E per un attimo dimenticate i nostri preconcetti etnocentrici che rendono impossibile un matrimonio tra bambini: in quante culture infatti le unioni vengono prestabilite addirittura prima della nascita? Trascurate poi il dettaglio che lei all’epoca fosse la mia babysitter “vicaria” e che avesse qualche anno più di me. Dove sta scritto insomma che una dichiarazione d’amore, solo perché fatta da un bambino, non sia degna di esser presa in considerazione?

Sposarsi è una cosa seria! Persino un moccioso sa che significa per tutta la vita!

Voi direte che non poteva certo essere amore. Scettici! Caproni, vi siete scordati di cosa provavate prima di esser traviati da paure, sofferenze e apatia che come l’acne puerile sopraggiungono puntualmente al varco dell’adolescenza!

Vi assicuro che era proprio amore. E non solo per via dei capelli lunghi e del sorriso, degli occhi pieni di vita e per la sua grazia complessiva, ma anche per le attenzioni che mi dedicava. Quelle attenzioni che difficilmente i grandi, gli adulti certo, ma anche i ragazzini più grandi anche solo di qualche anno, dedicano ai mocciosi.

Ed era un amore corrisposto! O almeno mi piace sguazzare in questa illusione.

Ora scusate ma sopraggiunge il vuoto, il buio assoluto! Vi ho avvisato, ho una pessima memoria. Qua e la recupero immagini di noi due, al mare dalle parti di Porto Santo Stefano, in Sardegna, poi in montagna, probabilmente in Trentino, a casa mia, a casa sua…e i genitori sempre in mezzo ai piedi.

Ancora uno sforzo ma niente. Sono spiacente, scusate se vi ho tirato dentro una storia che finisce così, in un burrone.

Mi scervello nel tentativo di ricordare ma credetemi non so proprio cosa sia successo dopo.

Cosa è andato storto tra noi? Perché non ha funzionato? Eppure è strano, di solito in amore ci si ricorda molto meglio del perché ci si lasci piuttosto che del perché ci si innamori. La fine ha sempre la meglio sull’inizio. Di quell’amore invece non ricordo la fine. Forse i miei trovarono un’altra babysitter, forse crescendo, si sa, le ragazze tendono ad innamorarsi dei ragazzi più grandi e Susanna mi ha mollato per uno tipo Simon Le Bon dei Duran Duran che tanti cuori adolescenti ha infranto negli anni ‘80, forse i nostri genitori litigarono e si opposero come i Montecchi e i Capuleti. Fatto sta che di quell’amore ho perso le tracce. Tuttavia deve esserci una parte del cervello che ricorda anche senza appoggiarsi alla memoria, un po’ come funziona per gli odori, i sapori, la musica. Si tratta di ricordi offuscati ma che hanno radici profonde, che dal cervello affondano direttamente nel cuore dell’essere umano. Così, negli anni che seguirono, sono cresciuto conservando un ricordo di Susanna costruito con le sensazioni più che con le immagini.

Passarono gli anni, circa una decina direi…a memoria, quindi scuserete la scarsa precisione.

Saltuariamente ricevevo notizie di seconda mano relative a Susanna, tramite mia madre o qualche altro parente. Ricordo che studiava all’Isef e poco altro. All’epoca, avrò avuto 15 anni, giocavo a tennis e mi allenavo tre volte a settimana in un circolo di viale Tiziano. Prima di cominciare con la racchetta, svolgevamo, io e gli altri ragazzini, circa mezz’ora di riscaldamento e preparazione fisica. Un giorno, giunto al circolo, il Maestro di tennis ci presentò colei che per qualche settimana avrebbe sostituito la nostra preparatrice atletica…avrete già capito. Era Susanna! Mi fece un immenso piacere rivederla, certo cresciuta e cambiata dopo 2 lustri ma con gli stessi capelli, lo stesso sorriso e gli stessi occhi. Ovviamente erano successe troppe cose per poter ambire nuovamente alla sua mano, tuttavia avvertii chiaramente un affetto radicato da qualche parte nel profondo del mio essere.

Poi niente, ancora vuoto, poi, di colpo, il dolore! Quell’affetto oggi riemerge ogni volta che penso a Susanna e non lo baratterei mai con dei ricordi nitidi, precisi, fastidiosamente affidabili! La miopia in fatto di memoria, come accade per la vista, affina le altre vie della percezione e quando si tratta di sentimenti, solo facendo convergere tutti i sensi si riesce veramente a ritrovare qualcosa di coloro che abbiamo amato.

marina bertozzi racconta

Susy ha voluto rimanere vicino al mare. Io sono vicino al mare sempre. Mi sento Mare.
non conoscevo bene Susy. So che aveva gli unici occhi carta da zucchero che avessi mai visto. Di lei ho l'immagine piccola, dietro quella di suo padre, un grande navigatore, con la valigia sempre pronta. Un marinaio di terra con racconti da marinaio, quelli che in Sardegna chiamano “contos de foghile”, quelli che ascolti davanti alla tavola da sparecchiare con le lische di pesce ripulite per bene, come lui ci ha insegnato a fare. Racconti di resistenza umana. Racconti di un uomo vivo.
Susy ha un sorriso aperto, tanto simile a suo padre, i capelli forti con fili piccoli rossi. La pelle dorata. E gli occhi grandi pervinca. E’ con la tuta da ginnastica, è tornata dal lavoro in un albergo sulla neve, ha tanto da fare, parla poco, la vedo dall'alto, sembro più alta, la inquadro come in una foto, guardandole la frangia dei capelli scomposti. E’ libera, è insofferente, non è in nessun posto, sembra sempre stia scappando, eppure in quel momento l'ho fermata, è cristallizzata. Cerca lavoro, ma non saprei che lavoro farle fare, è alla ricerca di qualcosa, penso : - ma dove vuole andare? Perchè non sceglie una strada sola? È inquietante, non riesco a parlarle, mi spaventa Susy, quello che potrei dirle so che sarebbe interessante solo per pochi minuti, non ho quello che cerca.
Susy è andata via, un giorno, regalando a tutti anche a chi come me si trova nel cerchio più lontano da lei, immagini infinite di sè. Chi è per me e perchè ne parlo?
Susy non c'è più. Fabrizio mi racconta come è successo, una scelta cruda verso se stessa, più cruda ancora perchè è inspiegabile. Sono arrabbiata all’inizio, arrabbiata con la sua scelta di cercare nella psicologia l’aiuto, sono arrabbiata di non averlo saputo prima: le avrei detto: la psicanalisi è solo un altro dei punti di vista!. Ma ancora non l’avevo incontrata veramente ed ancora non avrei saputo dirle quello che lei stessa mi ha insegnato DOPO: ascolta te stessa.
Susy sceglie di essere in un altra dimensione e di comunicare con la forza dello spirito messaggi infiniti dove serve.
Sceglie di stare vicino al mare nella terra. Tutti siamo riuniti intorno a lei, alla sua famiglia. Non ricordo più nulla di quella mattina. Solo che, come dietro ad uno schermo, osservo la famiglia che sta in silenzio. Il padre in piedi guarda l'uomo che lancia terra con una pala sulla cassa di Susy che giace in fondo alla buca. L'uomo fa un mestiere, l'ultimo necessario, la terra è troppa, la sua forza non basta, il padre prende la pala, finisce il lavoro.
Che forza ci vuole per vivere questo? è una forza che non conoscevo. Il silenzio continua, in silenzio la famiglia va via.
Torno a casa perplessa: - Fabrizio, fa parte di riti e educazione che non conosco, rimanere in silenzio, non piangere, compostamente salutarsi? È forse una convenzione? Se non davanti a tanto, quando un essere umano può liberamente esplodere?-
Fabrizio non lo sa. Quanta sapienza presumo abbia Fabrizio, che ha perso suo padre e vede Giorgio, suo amico e grande insegnante, soffrire in questo modo. Fabrizio non lo sa. Era piccolo, ha imparato il dovere ed il silenzio dopo aver sofferto anni.
Non avevo esperienza del dolore di questo passaggio. Nessuno della mia famiglia tribale ci aveva lasciato da quando avevo la consapevolezza di capire. Ho conosciuto, guardando Giorgio, Silvia la loro famiglia, la RESISTENZA il SILENZIO. Ho visto impietrire i cuori. Ho imparato il valore profondo del silenzio, la sua forza.
Qualche cena da noi a Trastevere. Giorgio racconta, cerca la ragione. Noi non sappiamo la ragione. Noi sappiamo che quando succeed, dobbiamo stare insieme alle persone che soffrono. Ma qualsiasi compagnia non consola, e non aiuta a spiegare.
Il cuore di pietra del papà non riesce pian piano a sciogliersi in abbraccio, pianto racconti. Non c'era modo. Allora Susy cercò di aiutare suo padre. Susy però volle consolarlo e mandò messaggi a chi poteva sentire, dettò una lettera a chi riusciva a scrivere. La stessa lettera lasciata nel momento di uscire: - Vedi, è vero ci sono, ti posso parlare, ti spiego.-
Non so di Giorgio nei mesi che non stette con noi. Andò lontano da solo a raggiungere I posti più naturali, dove lei era più vicina. E un giorno abbracciai Fabrizio, disperato, per lui un altro papa non c’era più. Un cuore di pietra che non può più sciogliersi si spezza. è con Susy ora.
Susy ha continuato a parlare: da lei ricevo regali per Silvia. Lei è spaventata, lei non vuole sentire. Ma riesce a sentire. Riesce a ricevere i messaggi. Divento un tramite, non scelgo non vado a cercare, semplicemente I messaggi , arrivano. Ed io scopro che li posso ricevere. Sempre di più. È il regalo di Susanna per me.
Riverberi: infiniti.
Susy dice mentre scrivo: siamo uniti, siamo tutti insieme, siamo spirito, abbraccio sorriso.
Una riunione di amici da Silvia, la prima: un'amica di Susy, ha negli occhi la stessa luce, la riconosco subito, so subito che è una sua amica; il ragazzo di Susy, ha negli occhi la stessa luce.
Ho imparato da Susy a riconoscere quella luce; è un lampo di vita, dice: a questa persona tu devi parlare. L'ho capito dopo; non sono riuscita a parlare con queste persone, ho pensato che non avevo nulla da dire, che nelle convenzioni sociali di una bella riunione, non volevo dare dispiaceri. Il nome di lei era sussurrato: vedi lei era amica di Susy, lui era il suo ragazzo; ma io lo sapevo già. Ora, ancora apprendista, so che dovevo semplicemente sedermi a parlare con loro, e lei avrebbe aiutato.
A piedi nudi sui sassi io e Silvia, i bambini ed i compagni più in la, sulla spiaggia, a giocare, noi a piangere sulla punta della piccola baia. Le parole mi vengono senza pensare, escono sole, nel plesso solare leggere, salgono e semplicemente, escono. Un'amica di Susy è in sudamerica e vuole parlarle, subito, arriva una sensazione di ansia, di vuoto di malessere. Possibile sia vero?
Apprendistato a ritroso: è faticoso ritrovare la propria sensibilità ancestrale, quella sottile, animale, sensoriale e "mentale" , sforzare molto per non usare la razionalità. Razionalmente scegliere di scendere a contatto con uno spirito comune che è SEMPLICE è in tutti noi è la grande comunione di tutti gli esseri, del mondo, ma è sottile, leggera è semplice. Non ha forma ne' colore è più leggera dell'aria, è in noi; bloccata dal dolore, dai sentimenti, dal quotidiano; si trova solo stando fermi, fa viaggiare senza tempo, in un tempo istantaneo immediato. Sei con la persona che vuoi raggiungere nell'istante in cui la pensi, ovunque sia.
Era vero. Sivia, dove sono tutte le amiche, che ha lasciato Susy sulla terra che vuole raccogliamo?
Silvia raccoglie sassi a forma di cuore, silvia scrive di sassi a forma di cuore.
Mi regala la Strega di Portobello di P. Coelho. É la storia di una donna che non c’è più, parlano di lei tutti I suoi amici e dai racconti si compone l’immagine della donna, la forma visibile è complessa, da soli noi stessi non potremmo mai descriverci in così tante maniere: quante persone incontriamo nella vita, qual’è lo scambio tra noi, cosa resta di noi negli altri, cosa gli altri conservano, cosa restituiscono, quanto valore nostro c’è nell’incontro?
Pensiamo che forse Susy vuole un libro come questo, io e Silvia, cerchiamo di raccoglierne I pezzi, tra gli amici, per poterli poi ricomporre.
Non ci riusciamo; ci sono tante cose ad impedirlo. Silvia scrive in una raccolta di racconti sui “cuori di pietra” . Penso non sia la strada. Ma sono contenta perchè Silvia finalmente, scrive. Un pezzettino si scioglie. Ma non è la strada. Non è questa. I racconti sono belli, emozionanti, avverto tra le righe delle due storie piccoli puzzle di Giorgio, piccoli di Susy, di Silvia. Si apre un po’, Silvia.
Una riunione con gli amici di Susy. Incontro l’amica sudamericana, aveva perduto l’anello che Susy le aveva regalato, per questo l’avevamo sentita così dispiaciuta, quel giorno sulla spiaggia; bella luce anche lei negli occhi.
Ma quella sera c’è Simona, la piccola sorellina, la sorella piccola. Di Simona avevo percepito la stessa inquietudine di Susy, lo stesso stare ma non stare, la mobilità interiore, la ricerca, ma più fragile, nervosa, giovane. Ma di Simona il giorno del funerale avevo visto il pianto, gli occhi rossi. Simona è piccola. Era piccola.
Simona non parla con Silvia. Di lei c’è poco tra me e Silvia. Si avvicina quella sera, io sono sola, sono contenta che sia arrivata e vorrei stare sola con lei, ore. C’è molto da dire. Siamo vicine c’è molto da ascoltare. Un tavolo apparecchiato, contos de foghile, le storie, gli episodi di Susanna, le cose che non sa e che io non so.
Una che nessuno sa è che dopo I messaggi, non so perchè, li dimentico. Apprendistato.
Parliamo tantissimo. Poi arriva il suo compagno, che è trasparente, pulito, aperto affettuoso. Chiacchieriamo di viaggi e Sardegna.
Simona poi, sparisce. Ed io sono perplessa, non capisco. Ma penso che anche lei fa il suo percorso la sua strada. Io nel mio, intanto imparo la lezione più drammatica, perchè perdo Davide, un mio amico fraterno e mio padre su questa terra. Mio padre lo accompagno per mano mentre muore, tenendogli la mano.
Che cos’è il dolore? Ora provo a descrivere: è un sasso e sta fermo immobile di granito tra la parte morbida del mio stomaco e lo sterno. Sta al centro della fronte, tra le sopracciglia e dietro alla nuca, in agguato. E freddo e duro come pietra e non si muove. Così si scatena costante e fermo. Fermo. Silenzioso. Solo il silenzio riesce a contenerlo.
Ma non ti fa vivere. Se vuoi sopravvivere e ritrovare l’energia sottile, quella vitale ci devi convivere, lo devi accarezzare, lo devi descrivere e devi farti aiutare con le carezze, con le parole, con l’aiuto delle altre persone che ti vogliono bene o che comunque hanno la sensibilità per capire e la capacità di scambio.
Darsi la mano, parlare, passare anche tempo insieme in silenzio, raccontare è la medicina, aiutare gli altri a raccontare è il modo di polverizzare il sasso, il duro dentro, il freddo, sciogliere il marmo per farlo diventare una polverina sottile che pian piano lasci il posto alla bolla d’aria che serve, dentro di noi, ad accogliere l’amore che, nella dimensione altra, nutre ancora il resto della nostra vita.
Simona riappare una sera, con una telefonata bellissima: dice che non è sparita, ha continuato a camminare, ha sognato di Silvia e Susanna, vuole parlare con Silvia. Simona ha scoperto il buddismo, uno dei riverberi di Susy in un libro, ora di suo di Simona, vitale.
Mi dice che ha trovato un cuore di pietra, ed uno piccolo mangiando con il suo amore spaghetti allo scoglio – guarda che buffo, I messaggi arrivano da piccole cose, quasi volgari come una cozza minima, che aprendosi forma due ali d’angelo, un cuore! Lo regalo a mia madre? Lo regalo a Silvia? –
Sono un apprendista, tutti lo siamo. Apprendisti e maestri. Ogni persona lo è.
Ed io più di tutti non capisco mai niente. Ci metto tantissimo per capire un simbolo.
Ed allora uso un trucchetto: I navigatori della Strada sono gli appunti, bisogna scrivere appunti sui piccoli simboli per capire cosa vogliono dire.
Ecco Silvia, ieri chiedevi:- ma non ci sono messaggi? –
Ecco il messaggio Silvia: trovate cuori di pietra perchè dovete aiutare le persone a scioglierli, cominciando da voi due ed a raggio, ne siete capaci ed avete un grande Aiuto, anche tutti quelli che la Vita vi fa incontrare.
Beh, una sono io,
Così, vi voglio bene.
Marina - MaraLuna

simona racconta

Ho tantissimi ricordi di mia sorella Susanna e non riesco a trovarne uno in particolare da raccontare.
Tanti flash mi affollano la mente e mi fanno rivivere la sua ironia, la sua dolcezza, la sua simpatia.
Una sorella, ma anche un’amica, con la quale ho condiviso momenti indimenticabili.

Susy frequentava l’ISEF e si era da poco trasferita per un po’ da zia Bianca, che viveva da sola, dopo la morte di nonna.
Il nostro cane Clè credo facesse la spola, come lei, tra la casa di via Serpieri e la casa di viale Parioli.
La mia amica Livia veniva spesso a dormire da noi, nel letto di Susy, perché in quel periodo uscivamo molto la sera. Era ormai di casa ed era stata classificata dalle mie sorelle come la quarta sorella.
Una sera eravamo andate a pattinare a Mentana e Livia, anche per colpa mia, si lussò una scapola.
Il giorno dopo Susy venne a trovarci e le raccontammo l’accaduto: Livia era buffissima, al Pronto Soccorso le avevano fasciato entrambe le spalle ad una lunga stecca, le braccia aperte, e sembrava un aeroplano.
Susy, la mattina dopo, ci fece trovare un biglietto - che ancora conservo – su cui c’era scritto:
Carissime Livietta e Simoncina (alias Olivia e Braccio di Ferro), domani mattina alle ore 9.00 dovete essere in tuta da ginnastica e scarpette, scattanti ed energiche, a Villa Glori con Clè.
Fate almeno 8 giri completi, così Clè corre un pochino e voi smaltite un po’ di culetto senza lussarvi la scapolina!!
Ciao Scapolone!! Simpatica eh!! Notte Susy
Era il periodo in cui Susy era fidanzata con Maurizio Coconi… eravamo, io e lei, sulla 500 beige di Maurizio e Susy guidava tranquilla lungo Viale Maresciallo Pilsudsky.
Ricordo che era una bellissima giornata primaverile e io le stavo raccontando una barzelletta: si mise a ridere alla sua maniera, che definiva “risata grassa”, con le lacrime agli occhi, sbandando lungo tutto il viale.
Per fortuna c’erano poche macchine e tutto finì con delle “grasse risate”.
Era sempre il periodo delle “risate grasse”, non mi ricordo cosa scatenò il tutto, ma non dimenticherò mai Susanna, sdraiata sul cofano di una macchina parcheggiata a Viale Parioli, avvolta in un grosso montone - sembrava un orso – che rideva a crepapelle.
E quella volta che parcheggiammo il motorino sul Lungotevere, ci affacciammo a vedere il fiume e continuammo a piedi per Via dei Pettinari alla ricerca di un paio di scarpe?
Al ritorno, distratte come spesso eravamo, cercammo come matte il motorino per quasi un’ora, nella speranza di orientarci guardando in continuazione il flusso del fiume. Ormai stanche, ridevamo e scherzavamo sulla nostra distrazione: a vederci sembravamo due ubriacone.
Ricordo con grande affetto una passeggiata assieme per Via dei Giubbonari. In quel periodo mi ero fissata con la dieta ed ero esageratamente magra, Susy, con molto tatto, preoccupata per la mia salute, mi convinse ad abbandonare la dieta, facendomi capire i rischi ai quali sarei potuta andare incontro.
Ho voluto raccontare questa Susy. Ma Susy ovviamente era una persona molto più complessa, con tanti momenti alti, e purtroppo anche con tanti bassi e una profonda spiritualità, che non vorrei mai dimenticare.

alessandra stevanin racconta

Susanna…
Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa su di lei..non mi viene facile…non sono mai stata troppo brava a scrivere, eppure c’è tanto di lei dentro di me e così provo ad affidarmi ai miei sensi..lascio che affiorino sensazioni e ricordi…
Susanna. Per me è liquerizia
Quella nera, amara, nelle bustine morbide della Tabù. Ho preparato parecchi esami all’ ISEF con Susi e insieme alle immancabili ansia e strizza c’erano loro: le liquerizie. Ne mangiavamo a tonnellate, tanto che il mio dentista mi chiese, durante un controllo, se avessi cominciato a fumare. Mi ricordo un esame in particolare, fisiologia, che richiese parecchie dosi di droga nera…studiavamo da matte, sognando cosa avremmo fatto dopo l’esame…alcool droga(vera) e sesso sfrenato…
L’esame andò benissimo; io presi 28, mentre lei naturalmente 30…ma ci ritrovammo spompate e senza energia e andammo a letto alle dieci ognuno a casa sua…
Susanna. Per me è lana
Quella un po’ pelosa…e melange
Lei come me adorava sferruzzare golf o sciarpe ovunque. Un giorno mia madre mi comprò una lana molto carina che piacque molto anche a Susi, così mia mamma la comprò anche a lei . Mia madre adorava Susanna, non so perché, ma è sempre stata la ‘sua’ mia amica preferita, forse perché viveva situazioni simili a noi, che per circostanze della vita ci siamo trovate “ signore” ma senza soldi, in un mondo di più che benestanti, prendendo la vita con dignità e orgoglio senza invidia per nessuno e con tanta ironia…
Susanna. Per me De Gregori
E un concerto che vedemmo insieme..lei ebbe i biglietti gratis da qualcuno e volle portarci me..forse perché ero l’unica a cui piacesse.. certo è che ora non posso sentirlo senza pensare a lei. Mi successe un fatto strano…qualche giorno dopo la sua morte
andai ad un matrimonio di cari amici fuori Roma, tornando a casa in macchina mi misi a pensare a lei...a parlare con lei..quanto le sarebbe piaciuta quella serata, quel matrimonio così diverso e allegro…per tutta risposta alla radio partì “ Alice guarda i gatti e i gatti …” la nostra canzone preferita..sarà stata una coincidenza ma a me piace pensare che fosse lei..
Susanna. Per me è “ odore di cane”
Nello specifico Cle il suo cagnolino , addormentato in mezzo ai nostri sacchi a pelo dentro la mia micro tenda canadese..i primi tempi quasi mi dava fastidio che Cle mi leccasse tutto, e poi, appunto, il suo odore in tenda..ma dopo un paio di giorni ..non ne avrei più potuto fare a meno. Ed è proprio in una tenda canadese che è nata la nostra amicizia..in Grecia.Non eravamo in tenda assieme, anzi ci conoscevamo poco, mi sono aggregata a questo gruppo di pazze così diverse da me..per farvi capire io andavo in giro con la Vanoni nelle cuffiette mentre loro ne combinavano di tutti i colori. Ma una cosa l’avevamo in comune io e lei..il nostro “ buon “ carattere, poco litigioso, e cosi dopo giorni di urla e litigi tra le altre, ci siamo guardate e abbiamo capito che saremmo state in pace solo insieme..per cui lei si è trasferita nella mia tenda.
Susanna. Per me è blu
Blu come i suoi occhi..non ne ho più visti di un colore cosi pieno, intenso.
I suoi occhi..cosi vivi e intelligenti che sembravano guardare sempre al di là…del resto Susi era così..sempre con qualche domanda più grande di noi..sull’amore la religione, la vita ola morte e magari tutto questo mentre correvamo a villa Glori..io per un po’provavo a risponderle cercando di conciliare il fiatone e il male alla milza con qualcosa di intelligente..finchè sfinita le dicevo:” A Susa…piantala..non ce la faccio filosofeggiare con la lingua a penzoloni
Susanna. Per me è… in qualche bel posto..e mi piace pensare che stia succhiando una liquerizia tabù, sferruzzando golf per tutti i Santi del Paradiso, con Cle che dorme ai suoi piedi..e lei che si guarda in giro con i suoi meravigliosi occhi blu..e sorride magari pensando a noi..ancora qui..a combattere con il lavoro lo stress il freddo o l’amore, soprattutto, che anche alla nostra età è ancora capace di straziarci….
Alessandra

gioia smargiassi racconta

Gioia Smargiassi 12 febbraio alle ore 17.29
Non so perché tra le amiche e gli amici già patentati avesse scelto proprio me…. Forse per la mia abilità al volante o perché le infondevo sicurezza…. Tant’è che ci siamo ritrovate insieme a Talenti o giù di lì per quello che sarebbe stato un insuccesso clamoroso: l’esame pratico per prendere la mitica patente di guida.
Susy al volante con l’esaminatore accanto, un funzionario della Motorizzazione perché superfiche e sicure di noi stesse non avremmo mai optato per la tradizionale scuola guida da noi altezzosamente considerata da sfigati incapaci che pagavano per passare a tutti i costi. Mi accomodai nel sedile posteriore e partimmo per la temutissima prova.
Non ricordo quanto durò la prova né le parole dell’esaminatore. Ricordo solo i “peli da paura” che Susy fece a tutte le auto parcheggiate che ebbero la sventura di essere sul nostro cammino….. Non so neanche se azzeccò la temutissima prova del parcheggio….
Ma ricordo bene la faccia dell’esaminatore durante e dopo la prova, e anche la sorpresa scocciata e altezzosa di Susy per essere stata respinta.
Non so chi l’accompagnò la volta successiva…..

Ero così felice di aver trovato un regalo originale per il compleanno di “Amica Stefy”. All’epoca per arrotondare lavoravo ogni tanto nel negozio di abiti usati di alta moda della mamma di Annalisa, un luogo magnifico pieno di abiti e accessori inaccessibili ai più. Avevo scovato una bellissima, elegantissima e preziosissima pochette di tartaruga, perfetta per l’elegantissima Amica Stefy….
E così la proposi all’attenzione delle amiche con le quali avrei condiviso il regalo: alle mie parole Susy mi guardò con sdegno saccente e con voce altisonante mi disse: Una pochette di tartaruga? Non comprerò mai un oggetto fatto uccidendo un animale e per di più una tartaruga, una tartaruga che rischia l’estinzione”. Io mi feci piccola piccola perché lo giuro, il pensiero non mi aveva neanche sfiorato. Ma Susy è sempre stata un’ambientalista ante litteram pronta a partire lancia in resta in difesa delle creature più deboli.
Comunque credo che Susy si dissociò dal regalo ma noi, ripensandoci concludemmo che ormai il danno era fatto e che a Stefy la pochette di tartaruga sarebbe piaciuta tantissimo.


L’ultimo film che ho visto con Susy è stato “Avana” diretto e interpretato con Robert Redford e Lena Olin. Eravamo al Cinema Farnese mi pare e dopo la proiezione abbiamo concluso la serata alla mitica Insalata Ricca che all’epoca era lì a discutere sulle ragioni della rivoluzione cubana. L’idea che quella sarebbe poi diventata una serata “memorabile” non mi ha neanche sfiorato….
Se lo avessi saputo forse avrei prestato più attenzione alle parole, ai gesti, e avrei cercato di memorizzare più cose… Ricordo solo noi all’Insalata Ricca dopo un bel film…

L’ultima volta che ho visto Susy è stato nella prima casa da sposata di Stefania, una casetta piccola nella quale stava quasi sempre da sola visto che Andrea era a Montecarlo. Stefy, novella sposa invitò noi amichette a cena da lei, per stare insieme, parlarci del viaggio di nozze e della sua nuova vita da”moglie”, una delle prime a fare il grande passo. Eravamo tutte incuriosite, felici di essere con lei ma Susy era inquieta, non stava bene e quella sera manifestò più volte il suo malessere anche se nessuna di noi capì fino in fondo quanto fosse profondo.
Ricordo una mia telefonata qualche giorno dopo in cui per cercare di scuoterla e tirarla su le proposi di andare a correre insieme- cosa che avevamo fatto spesso – e la sua risposta che mi gelò fu: Smargi, io non ho voglia neanche di alzarmi dal letto, figurati di andare a corre”.
Ho ripensato spesso col senno del poi a quella nostra ultima cenetta tutte insieme, a quello che ci siamo dette e non dette, a quella telefonata cercando di capire se da qualche parte forse sforzandomi di più avrei potuto intravedere quello che sarebbe poi successo da lì a poco.

Non so cosa avrebbe fatto e come sarebbe diventata Susy con gli anni e quindi non so dire le cose che non ho avuto la possibilità di vederle fare. So però le cose e le persone che avrei voluto che lei vedesse, conoscesse e vivesse con me e che sicuramente le avrebbero provocato gioia.
Mi dispiace non averla avuta accanto a me – anche solo con il pensiero, con una lettera, una telefonata, un sms o una e-mail – nei miei viaggi per il mondo, nel mio peregrinare inquieto da un paese all’altro che sicuramente lei avrebbe approvato e condiviso.
Mi dispiace che non mi abbia seguita nella mia grande avventura per mare…la scoperta dell’Oceano, di una vita diversa in barca in luoghi mitici e da noi sempre sognati….. Sono certa che mi avrebbe raggiunta almeno una volta, per condividere con me almeno un pezzetto di quella vita che sembrava scritta più per una come lei che per me…
Mi dispiace che non abbia condiviso con me la mia ultima passione, quella per lo yoga da me scoperto in tarda età e che lei praticava già da tempo. Sono certa che mi avrebbe saputo dare dei preziosi consigli e che mi avrebbe accompagnata in questo viaggio di scoperta nel quale sto muovendo timidamente i primi passi.
Mi dispiace che non abbia avuto modo di conoscere Aldo e tutto quello che ha portato nella mia vita… Sono certa che sarebbero andati d’accordo e sono strasicura che Aldo l’avrebbe annoverata tra le sue preferite….

gabriella cominotto racconta

Carissima Susanna, quando Silvia mi ha chiesto dei pensieri per il libro che voleva scrivere in ricordo di te attraverso i tuoi amici, parenti e conoscenti ho subito pensato….." ma cosa potrò mai scrivere di una persona a me tanto cara ma non abbastanza famigliare vista la grande differenza di età che c’era tra me e lei, anche se la sentivo tanto vicina a me, soprattutto per la frequentazione con la sua meravigliosa famiglia, con il grande Giorgio, con l’adorabile Viviana, con le sue deliziose sorelle.. e poi é troppo facile e diventa spesso retorica parlare delle persone che non ci sono più….. si diventa tutti buoni, tutti bravi "

Eppure appena ho letto le parole sulla foto che ho allegato ho subito pensato a te cara Susanna….tu il sole non riuscivi più a vederlo perché il sole eri tu…. tu che in ogni macchia gialla volevi vedere il tuo sole e in lui la Luce dell’amore, della fratellanza, della compassione e dell’altruismo verso il prossimo….umano o animale che sia, tu ti sei sentita oscurata dal buio dell’egoismo e dell’indifferenza umana…..tu che amavi e ami tanto la Madre terra e te ne volevi sentire una degna figlia forse umanamente l’hai sentita più matrigna che madre.
Tu non eri fatta per questo mondo…..lo amavi infinitamente, ma io credo che una parte di te, una piccola radice di te era rimasta nel terreno della Casa del Padre da dove eri partita.

Mi viene in mente un ricordo :

Io compresi quanta sofferenza, quanto mal di vivere all’improvviso era entrato in te quando venni a casa vostra, dopo che il mio adorato figlio Daniele ci aveva lasciato per un incidente di moto.
Ti chiesi come andavano le cose e subito capii che c’era qualcosa in te che si era spezzato, stranamente io che ti conoscevo come una persona allegra, solare, sportiva, attiva, quel giorno mi dicesti che non riuscivi più a sentirti in sintonia con l’umanità, che non credevi più in un futuro sereno per i giovani, in un mondo di lavoro senza più raccomandazioni e corsie preferenziali, mi raccontasti della tua grande delusione e dello sconforto per il comportamento di una persona che insieme a te lavorava in un villaggio.
Quella persona responsabile alla direzione, alla richiesta di una camera per una persona insieme ad un bambino con problemi di endicap, rispose mentendo, che al momento non erano disponibili camere.
Mi dicesti che questo fatto ti aveva fatto soffrire terribilmente perché non riuscivi a comprendere e mai avresti compreso la leggerezza e l’aridità dell’animo di fronte alle sofferenze altrui e alla negazione della compassione verso chi è più debole ma ha gli stessi diritti, anzi dovrebbe avere maggiore attenzione e amore.
Parlammo tanto quel giorno e insieme cercammo di vedere oltre il buio, di vedere anche il lato positivo della vita, e tu, con tutta la sensibilità che avevi, mi chiedesti scusa del tuo sfogo perché di fronte al nostro grande dolore per la perdita di un figlio i tuoi problemi diventavano quasi una banalità.

Ma i ricordi che ho di te cara Susi sono principalmente i più belli…..il corso sub che facesti con la nostra scuola, le gite in barca all’Argentario, le immersioni, le meravigliose settimane bianche tutti insieme e l’indimenticabile capodanno in montagna a Salice con la mia e la tua famiglia.

C’è stato anche un altro evento che ti ha legato ancora di più alla mia vita……..
Quando persi il mio Daniele, chiesti con tutte le mie forze, scongiurai il Padre Nostro di farmi ritrovare il mio adorato figlio, di darmi un segno che lui fosse ancora vivo…..non importava in che modo, nella sua immensa misericordia Lui sapeva come farmi arrivare a capire, a sentire ancora la presenza del mio amato Daniele.

SEI STATA TU CARA SUSANNA IL MESSAGGERO DI DIO…..qualche mese dopo che anche tu eri salita in cielo, un pomeriggio mentre riposavo, all’improvviso mi sono dovuta alzare e non comprendendo bene quello che mi stava accadendo, quasi in trans, ho preso una penna, un foglio di carta e mi hai quasi "obbligata" a disegnare un grande cerchio con dentro altri cinque piccoli cerchi, all’interno del quale mi hai fatto scrivere " sono Susanna…vi amo siamo ancora tutti uniti…perdonatemi se potete, sono viva……Daniele è con me …siamo felici "

Tu dolce Susi, chissà per quale misterioso disegno hai avuto un compito…. mi hai indicato la strada per ritrovare chi credevo perduto….per farti ritrovare dalla tua famiglia; da quel momento è iniziata la mia straordinaria esperienza e con la posta e i messaggi dal cielo si è riallacciato quel meraviglioso legame d’amore che mai si era spezzato con il mio adorato figlio.

Proprio quando sembrava che tutto fosse finito per sempre e che le tenebre avessero avvolto la nostra vita….ecco di nuovo la LUCE…. quel fremito…..quel cuoricino che ha ripreso a battere dentro di me….ritrovare quel figlio che credevo perduto per sempre e che invece non hanno mai cessato di vivere in me…..quel figlio che, come quando erano nel mio grembo non vedevo ma sentivo che viveva ed erano parte di me.

Daniele mi ha insegnato che non ho avuto un figlio solo per diciannove anni, nella scintilla di vita che ho acceso, quando ci ritroveremo riavrò mio figlio e sarò madre per l’ETERNITA’.
In un messaggio che mi ha inviato, ma ognuno che è orfano di una persona cara può fare suo, mi scrisse …..:

“ Chiudi gli occhi e pensami come realmente sono……

……..IO e TE uniti in un battito di ali….in un volo senza fine e senza confini….accarezzare le calme e limpide acque della immensa profondità dell’anima…..sfiorare le maestose cime facendole vibrare come corde di arpe sullo spartito dei nostri cuori, per regalare alle nostre anime la MELODIA più sublime dell’amore "

Quanta melodia bellissima è intorno a noi…..quanta fratellanza si respira nella terra dell’amore……non si può descrivere quello che i nostri occhi vedono…..è come svegliarsi all’improvviso in un magico paese……è come assistere al sorgere del sole….vedere l’alba con tutti i suoi incredibili colori….è come vedere sbocciare, per un magico incantesimo, per un tacito segnale di risveglio tutta la natura e ogni fiore, come strumento musicale vibra e si apre alla vita”


Carissima Susanna, poiché la voce di uno è la voce di ogni creatura in cielo, io sono sicura che le meravigliose parole che Daniele mi ha inviato in un altro messaggio, tu facendole tue, saresti felice di inviarle alla tua cara mamma per donarle con tutto il tuo cuore la Fede e la Fiducia in una vita oltre la vita!



“Mamma quando ti ritroverò ti riconoscerò tra tutti, mamma mi riconoscerai tra tutti e in quel meraviglioso momento ci correremo incontro e sarò come essere soli tra miliardi di persone…. sarai bellissima mia dolce mammina, sarai la più bella tra le più belle e quando ti stringerò tra le mie braccia, guardandoci negli occhi, riscopriremo il meraviglioso sentimento che ci ha uniti con tutta la Comunione e l’Estasi di vita in un canto d’amore con il SUPREMO BENE in un vortice di felicità senza mai più fine.

Mio Dio, quanto sarà magico e meraviglioso quel momento….quanto sarà bello vedere i vostri occhi lampeggianti di sola luce e felicità, quando ogni lacrima verrà cancellata….ogni dolore verrà compreso, plasmato e sublimato…..ogni ferita sarà sanata.

Trattateci da vivi, come se fossimo ancora accanto a voi, con i nostri corpi che tanto avete amato e che se poteste vedere ora, amereste molto di più, perché ora vedreste veramente in noi quei FIGLI nei quali il PADRE si è voluto identificare.”

E’ anche questo il miracolo del nostro ritorno a voi con i messaggi : “Prendervi per mano e attraverso la nostra famigliarità insegnarvi e guidarvi nella strada della buona sapienza e della sana fiducia, ma soprattutto per presentarvi e farvi conoscere in modo semplice e quasi umile la vera natura, i veri sentimenti di GESU’ della MADRE CELESTE e del PADRE che invece avete quasi sempre percepito tanto lontani e inavvicinabili” .










Con queste meravigliose parole stringo a me, in un tenero e caldo abbraccio, te dolce Susanna, la mia cara amica Viviana, Simona….. e a te adorata Silvia tutti i miei più affettuosi auguri e un grazie per il tuo libro che sono sicura porterà tanto serenità e tanta speranza, per continuare insieme a Susanna quella missione d’amore che aveva iniziato e che vuole continuare dal cielo a seminare.

Uniti a voi per la vita e oltre la vita Gabriella, Giorgio, Priscilla….e Daniele dal cielo

william geiger "bill" racconta

William geiger bill

Cio` che ricordo di piu` di Susanna è come fosse bello e naturale trascorrerci tempo insieme. Ho vissuto uno dei periodi piu` belli e divertenti della mia vita a Roma, ospitato o per meglio dire “adottato” dalla famiglia di Maurizio. Ero diventato “un’appendice” di Maurizio e Silvia: andavo con loro ovunque. A prendere un caffe`, a vedere un concerto, ad Ansedonia per il fine settimana e in alcune di queste occasioni c`era anche Susie, la quale aveva una capacita` innata di rendere qualcosa che poteva essere un po` “imbarazzante” come due coppie (una che sta insieme e un`altra no) in giro per Roma, la cosa piu` naturale e divertente del mondo.
Mi ricordo di quando tutti e quattro nella macchina di Maurizio, con noi due seduti di dietro, Susie mi aiutava con il mio italiano che a quel tempo era un disastro assoluto. Il ricordo piu` chiaro che ho è di quante risate ci siamo fatti insieme e di come fosse facile essere me stesso in sua compagnia.
Ho visto Susie due giorni prima della sua morte. Dovevo andare a un appuntamento di lavoro e sono entrato in un cortile con il mio motorino. Susie era seduta su una panchina. Era passato qualche mese dall`ultima volta che l`avevo vista, ma lei era sempre Susie: amichevole, dolce, tranquilla. Se solo avessi avuto la minima idea di cosa le stava accadendo dentro…. Sono sicuro abbiamo avuto tutti lo stesso pensiero.
L’esperienza di Susie ha fatto nascere in me tante domande rispetto alla vita e che hanno ispirato alcuni aspetti di un film che ho fatto.
Il mio unico desiderio è che Susie fosse ancora qui per poterlo vedere insieme.

lorenzo cerroni racconta

Susanna non voleva farsi fotografare. O meglio: per tutto il periodo in cui siamo stati insieme non voleva che un obiettivo inquadrasse tutto il suo viso. Poi le cose sono cambiate e ci sono tante sue foto, ma sono tutte di "dopo": dopo che ci siamo conosciuti, dopo che la nostra storia era gia' finita, dopo che per un anno e qualche mese avevo fotografato tutti tranne lei. Qualche volta raggiungevamo un compromesso, cosi' delle foto di noi due insieme le ho: io di fronte e lei di spalle, con i bei capelli biondi sulla schiena nuda; oppure un suo occhio con il mio riflesso dentro. Un ritratto vero, pero', non ce l'ho. Qualche foto rubata da lontano che poi ingrandivo in camera oscura fino a vedere piu' la grana che il viso, o qualche gruppo in cui si intravedeva anche lei: per uno che pensava di voler fare il fotografo, come ero io allora, una specie di dramma. L'occhio di Susanna che ho mandato a Silvia per questo libro l'ho fotografato una mattina, a fine estate 1983, dietro alla finestra della mia camera a Roma. Susanna era in piedi di fronte alla finestra, pero' dovevo illuminare anche il mio viso riflesso nel suo occhio e avevo montato dei pannelli bianchi volanti per riflettere la luce. Insomma era una foto macchinosa, non uno scatto fatto al volo: questo per dire che non e' che Susanna non si prestasse a fare delle foto e a perdere tempo per farle, e' solo che non voleva che si vedesse tutto il viso – se la vogliamo dire tutta, non voleva che si vedesse il naso, che a me piaceva ma che lei trovava brutto. E durante la preparazione di questa foto non e' che non avessi provato a convincerla delle meraviglie di tutte le possibili inquadrature, e di come in fotografia tutto puo' sembrare diverso da come e': ma di fare un ritratto vero e proprio non se ne parlava neanche, e alla fine ho dovuto usare un obiettivo macro piazzato a pochi centimetri dall'occhio per rendere la seduta tranquilla senza far pensare che forse stavo fotografando quello che non dovevo...
Quante altre foto avrei voluto fare, e che non ho mai fatto! Quante immagini ho perso, oramai svanite dalla memoria e finite in un unico ricordo di un viso che aveva cosi' tante sfaccettature, cosi' tante espressioni, cosi' tante allegrie e cosi' tante tristezze! Sono quasi 30 anni da quando ci siamo conosciuti ed il tempo passato insieme si e' come condensato in un'unica sensazione, un'unica emozione, la malinconia di una storia finita due volte: perche' e' finita la storia e perche' e' finita anche chi l'aveva vissuta con me, e la poteva ancora ricordare. Era una storia di altri tempi, di quando eravamo piu' piccoli e ci sentivamo meno liberi; forse in realta' eravamo molto piu' liberi di adesso che possiamo fare tutto ma non ne abbiamo mai il tempo, o la voglia... Non ho grandi viaggi fatti insieme da ricordare – i giorni passati con lei, intendo stando insieme dall'inizio alla fine, erano pochissimi e rubati, nel senso letterale della parola. Non ricordo piu' quante bugie ci siamo inventate (in realta' se le inventava lei, perche' i miei genitori non mi mettevano mai restrizioni, pero' annuendo nervosamente mentre lei parlava mi sembrava di raccontare balle anche a me). Ogni gita a Santo Stefano (non saprei piu' dire quante volte ci siamo andati insieme: a me sembrano tantissime, ma devono essere state una manciata...) veniva presentata come una gite di classe, se non di tutta la scuola, e comunque sempre da qualche altra parte (l'Argentario era un po' come il giardino della perdizione, per andarci bisognava inventarsi almeno una decina di compagni di gita, madri e padri al seguito e poco mancava che non venisse richiesta anche la presenza di un qualche nonno di sicurezza). Ho capito allora la potenza della complicita' tra amici ed amiche e oggi mi chiedo quante cazzate mi racconteranno i miei figli, e penso che forse crederci fa parte delle regole del gioco... Non ho giornate o notti in posti esotici da ricordare. La settimana o poco piu' passata in Sardegna all'inizio della nostra storia, forse il viaggio piu' lungo in cui siamo stati insieme (ma anche insieme a tanta altra gente), era caratterizzata in parte da ambienti di uno squallore inimmaginabile (la casa dove abitava Susanna con i suoi amici), che pero' veniva completamente annullato dall'incredibile romanticismo della barca di Alberto Bezzi (con cui ero venuto io), del mare, e soprattutto del primo amore, come nelle piu' melense canzoni di Claudio Baglioni... Mi sono rimaste intatte nella memoria la figura di Fabio Polazzo che chiedeva 500 lire a tutti quelli a cui dava un passaggio con la macchina, ed un individuo di cui non ricordo piu' il nome che viveva nella casa affittata dagli amici di Susanna (chiamarla casa e' un eufemismo), e che era capace di prendere le mosche con la mano – per incredibile che possa sembrare non l'ho visto fallire una sola volta, e ne avra' prese almeno una cinquantina. E' l'imprevedibilita' e la meschineria della memoria: vorrei ricordarmi di tante altre cose, queste due pero' mi sono rimaste fisse come il mastice, e non me ne libero piu'. Non ci siamo quasi mai svegliati insieme: una volta che lo facemmo a casa sua i genitori ritornarono molto prima del previsto mentre ancora dormivamo, e solo grazie alla prontezza di Silvia e Simona che li bloccarono nell'ingresso per un paio di minuti riuscimmo a rimediare – Susanna rifacendo in fretta il loro letto, dove avevamo dormito, io saltando dalla finestra della loro stanza in mutande con i vestiti in mano. Abitavano al pianterreno, pero' non avevo calcolato che la finestra dava sull'entrata del garage: solo per un miracolo non mi sono ammazzato. Pensavo che fosse un metro d'altezza ma erano quattro, e me ne sono accorto solo nel momento in cui stavo gia' in volo e mi meravigliavo di non toccare ancora terra... Poi sono rientrato suonando alla porta come se nulla fosse (dovevo riprendere il casco che avevo dimenticato nella fretta), e non dimentichero' mai lo stupore della madre nel vedermi alle 8 di mattina di domenica – avranno saputo, lei ed il padre, che le figlie non erano cosi' innocenti come volevano far credere? Avranno creduto davvero che ero venuto a fare un saluto prima di colazione, tutto pieno di graffi?
Sono questi i miei ricordi: piccoli avvenimenti, momenti rubati a giornate normali. Non sono ricordi di grandi accadimenti, pero' in un certo senso ho molto piu' di questo, e molto piu' difficile da ricordare: la storia di una grande passione, della prima grande passione, della passione che ti cambia per sempre, nel bene e nel male. Ma la passione non si puo' ricordare, si puo'solo vivere, e quello che rimane dopo e' solo la memoria di un'emozione senza il tuffo al cuore, un po' come quanco cerchi di giore ancora al ricordo delle vecchie vittorie sportive e non ci riesci piu', e tutte le coppe e le medaglie rimangono solo dei pezzi di metallo. Sono questi i miei ricordi: frammenti di una storia che e' stata intensissima, bellissima, allegrissima, e anche tristissima – quando ci siamo incontrati in Sardegna in una pizzeria e gli ho dato una lettera di raccomandazione per metterci insieme, quando abbiamo fatto l'amore per la prima volta (nel letto dei genitori a Roma...), quando siamo andati insieme al consultorio, quando giravamo con la mia moto abbracciati, quando l'andavo a prendere a scuola, quando una mattina ho ritrovato un suo orecchino nel mio letto (uno dei momenti piu' incontrollabilmente felici della mia vita), quando, dopo che la nostra storia era gia' finita, ho trovato un bigliettino d'amore che mi aveva nascosto mesi prima a Santo Stefano (uno dei momenti piu' inconsolabilmente tristi della mia vita...), quando ci siamo telefonati l'ultimo dell'anno tra Salice d'Ulzio, dove era Susanna, e Folgarida, dove ero io, e mi ha detto che si era messa con uno di Modena (ho avuto per un bel po' di tempo una sana sfiducia in Modena e in tutti i suoi abitanti), quando, dopo quella telefonata, tornati a Roma siamo andati a fare un giro in macchina insieme, senza meta, solo a parlare e a cercare di capire, trovando per pochi giorni ancora un'intesa che invece era gia' finita, una passione che ormai era terminata, per lei un po' prima che per me. Qualche mese dopo ci siamo trovati ancora una volta e siamo andati di nuovo insieme per due giorni a Santo Stefano, e abbiamo scoperto che la passione era finita davvero, adesso, per tutti e due.
Quattro anni dopo la fine della nostra storia io sono partito per l'Austria e la vita romana e' diventata come un'eco, man mano piu' lontana ed indistinta. Di Susanna ogni tanto avevo notizie, ma non avevo quasi piu' contatti diretti. Poi nel 1992, poco dopo aver saputo che mio padre aveva un tumore incurabile al polmone, la notizia della sua morte mi ha lasciato impietrito. Per me, che negli ultimi anni l'avevo vista pochissimo, e' stato come se il tempo fosse tornato indietro e fosse morta la "mia" Susanna, la Susanna con cui avevo passato il periodo piu' emozionante della mia vita, l'unica Susanna che avevo veramente conosciuto. Solo allora la nostra storia e' finita davvero, irrimediabilmente, e per sempre. L'ultimo ricordo che ho di lei e' la decisione, presa insieme a mia madre, di non dire a mio padre che si era uccisa. Gli voleva bene, e gli abbiamo risparmiato quest'ultima tristezza.
E ora cosa resta, cosa rimane a quasi 30 anni da quando ci siamo conosciuti e quasi 20 da quando e' morta? Cosa mi e' rimasto di quel tempo, della prima, vera grande passione della mia vita? Cosa e' rimasto delle emozioni, dell'amore che sembrava impossibile che potesse finire, del dolore, della gioia, di una storia di poco piu' di un anno ma che nella memoria si e' dilatata lentamente fino ad occupare spazi che non sono piu' delimitati? Oggi resta la malinconia delle cose finite e che non potranno tornare mai piu', la dolcezza infinita stemperata dai 30 anni di distanza, i ricordi frammentati e spezzettati che si riaffacciano, a volte, nei momenti in cui meno te lo aspetti, staccati ormai dal tempo reale, ingigantiti o rimpiccioliti dalle emozioni, come condensati in un'unica massa di un ectoplasma trasparente ma impenetrabile. Susanna dentro me ha ancora 17 anni, sento la sua voce parlarmi e vedo i suoi occhi ridere furbi in tutte le fotografie che avrei voluto fare, ma che non ho mai potuto scattare.

fabio porzio racconta

Riguardo Susy, ogni tanto la penso e cerco di capire come si sarebbe trovata inquesta società profondamente cambiata dopo la sua dipartita
Lei che ha precorso i tempi della new age che già non è più di moda.
Ora che sono tutti Buddisti, spiritualisti, energisti e compagnia cantante chissà cosa avrebbe pensato, se avrebbe continuato su questo cammino o, sentendo odore modaiolo si sarebbe allontanata per cercare altre strade.
Quando penso a lei mi viene in mente il primo viaggio che facemmo insieme per andare a sciare da voi: tua madre, io e voi tre sorelle.
Eravamo tutti e cinque nello scompartimento e guardavamo i nostri nasi ed ad un certo punto dissi che quello di Susanna era più pronunciato di quello delle altre sorelle e lei stette quasi tutto il vaiggio con una mano sul naso (forse per coprirlo) con il risultato che alla fine del viaggio aveva un peperone al posto del naso. Un ricordo un pò stupido, ma onestamente è il primo che ho. Susy stava alle medie, Simona alle elementari e noi in quinto ginnasio.
E poi, sempre in albergo in montagna, ad un certo punto vi vennero atrovare degli amici di famiglia con due figli che litigavano sempre.
Un pomeriggio, tornati dallo sci, questi due bambini litigavano per terra tra due letti e Susanna ed io stavamo seduti sui letti e gli tiravamo dei giocattolini istiandoli a litigare. ...........proprio degli ebbeti!
Nonostante queste due cretinate ho un ricordo bellissimo e molto spensierato e....pensa, da quando sono venuto con te a Maccarese a trovare Susanna due anni fa, ho ricominciato a pensarci, indipendentemente dalle volte che ci vediamo o ne parliamo insieme.
Ti abbraccio forte

Fabio

fabrizio ungaro racconta

Tre e tre

Anny e Viviana, prima colleghe e poi amiche da lungo tempo, tre figli a testa, in pratica un piccolo branco. Sei in tutto: le bionde, Silvia e Chicca, la grande e la piccola; i rossi, Daniele e Simona, il grande e la piccola, e poi quelli di mezzo, Fabrizio e Susy. Un appuntamento fisso per qulche anno, una volta a settimana almeno, mi sembra il martedì. Il sole e la pioggia decidevano il programma di quei pomeriggi, stranamente sempre senza compiti da fare.

Sole. A caccia di girini
Il terreno di caccia: le fontane di Villa Borghese; la preferita la grande fontana rotonda, quella sotto il Viale delle Magnolie, tra il Pincio e il Giardin del Lago; quella più ricca di prede, la Fontana dei Pupazzi, dove l’acqua era coperta da un tappeto di muschio e piante; quelle più ambite, la fontana di Mosè e quella dell’orologio, nella quali non si poteva entrare. Io e Susy, arrotolati i pantaloni alle ginocchia, tolte scarpe e calzini, ci avventuravamo nell’acqua attenti a non scivolare sui vecchi muschi e muniti di bicchieri e bottiglie passavamo ore a catturare girini, sotto gli sguardi ansiosi, ma poi mica tanto delle mamme, distratte spesso dalle vicende degli altri quattro. La merenda era più che altro un maldestro tentativo delle mamme per farci sbarazzare delle piccole prede, ma non ci pensavamo proprio! Il bello veniva dopo: una bacinella in terrazza a vedere cosa sarebbe successo di quei buffi cosi neri con una minuscola coda che non stava mai ferma. Lungo la strada del ritorno spesso Susy mi dava il suo sacchetto di acqua e girini: doveva arrampicarsi sui lampioni. Non capivo bene perché lo facesse, ma ogni lampione era una sfida, e lei si arrampicava fin dove poteva, prima di essere raggiunta dalle grida minacciose di Viviana, rinforzate da quelle, invero parecchio più allarmate, di Anny. Io coi miei sacchetti di girini, la guardavo divertito e anche molto, molto ammirato: io ad arrampicarmi sui lampioni proprio non ci riuscivo! Poi ce li dividevamo, i girini, e ognuno a casa sua allestiva un piccolo zoo anfibio, con pietre, foglie galleggianti e tutto quanto pensassimo fosse di gradimento dei girini. Loro, però, duravano solo qualche giorno, ma non era grave, perché la caccia, sole permettendo, si sarebbe ripetuta la settimana seguente. Certo una rana domestica a testa ci avrebbe fatto tanto piacere...

Pioggia. Dolce forno e fantascienza giapponese

I pomeriggi di pioggia ci vedevano spesso a casa Vaccarezza. Lì rispetto a casa Ungaro erano permesse molte più cose. Si poteva giocare in tutta la casa, cortile incluso, e poi c’era la casetta di legno che Giorgio aveva costruito in terrazza, ed eravamo sempre contenti di passarci un pomeriggio, e già che c’eravamo anche la sera, tanto sia Giorgio che Nicola avrebbero fatto tardi a lavoro. Ad un certo punto fece il suo ingresso un ambito passatempo: il dolce forno Harbert (il primo modello, 575 quello del 1970). Non ricordo se era accompagnato anche dalla maglieria magica, quella della Mattel, ma quella era un aggeggio noioso che produceva inutili tubi di lana dai colori improbabili, al quale si dedicavano più volentieri Chicca e Simona. Noi, io e Susy, con il dolce forno, che poi altro non era che una scatola di plastica azzurrina con una lampadina, ci divertivamo un monte, ma come recita la scatola, era completo di sole tre formine, che regolarmente venivano prese da Silvia e Daniele, che avevano un approccio decisamente più tecnico del nostro alla pasticceria. Ci ingegnavamo allora con tegamini, terrine, e quant’altro potesse contenere i nostri intrugli semiliquidi e soprattutto potesse infilarsi nel forno...Gli impasti erano i più fantasiosi, le forme e le decorazioni ancora di più. Assaggiavamo tutta la nostra produzione dolciaria, sotto gli occhi disgustati di mamme, fratello e sorelle. Dopo il dolce, finalmente la pizza di Viviana e un’ora di tv. Un film ci colpì particolarmente: fantascienza giapponese in bianco e nero, la terra invasa da giganteschi meteoriti che crescevano come funghi, e dopo essersi rotti sotto il loro stesso peso, da ciascun frammento se ne generava un’altro, avanzando così inarrestabili dal deserto (di cui credevamo il Giappone abbondasse!) verso la città...ma doveva essere veramente trash perché in rete non ve ne è traccia!

Lo stadio dei marmi
Sempre due mamme, sempre noi sei, ma a sgambettare più grandi (erano gli anni delle medie, per me a Susy, 1976-1979) sulle piste dello Stadio dei Marmi, mentre loro si surgelavano il sedere sui gradini di travertino, intabarrate nei loro cappotti color cammello. La parte più divertente era il lungo viaggio sul 910, da Via Antonelli giù fino al Foro italico. Inutile dire che sulla pista Susy mi lasciava sempre dietro e faceva anche la spiritosa prendendomi in giro. L’unico a tenerle testa era Daniele.

Prima e dopo gli esami di maturità
Avevamo scelto di portare “scienze”, che al classico è una parola un po’ forte mi rendo conto, io come prima Susy come seconda materia, e per un po’ ci ritrovammo tutti i giorni, il pomeriggio a studiare e ripetere insieme, il secchione della IIIaE e la pazza della IIIaA. A volte si univa anche Sigi della IIIaC e ci piaceva questa cosa di essere di tre classi diverse, ci faceva sentire già fuori da quella scuola dalla quale non vedevamo l’ora di uscire. Al tromonto, che a luglio a Roma sembrava non finire mai, andavamo a correre a Villa Glori o ai campi dell’Acqua Acetosa, chiacchierando confusi sul cosa fare dopo.
Non ricordo come si arrivò alle decisione di partire tutti insieme per la Grecia, un gruppetto neanche troppo ben assortito, forse decidemmmo io e Susy e ci tirammo dietro a testa due compagni di classe, io Edoardo e Federico, lei Stefania e Riccardo; ricordo però che la decisione fu presa nei corridoi color verde pistacchio del Mameli. Non avevamo nessuna meta precisa, nessun itinerario, la maturità era alle spalle, andata come andata, ma andata e quindi, bene, si parte per le Cicladi. Treno di notte, traghetto da Bari, dopo visita nella città vecchia, bus da Igoumenitza pressati come acciughe a 40°C, notte al Pireo. Praticamente alloggiavamo in un bordello non lontano dal porto, tutti e sei in una stanza, gli zaini a chiudere la porta, e magari, a tenere lontano il puzzo che arrivava dai bagni alla turca, pure quelli senza porta, solo una tenda e un grande andirivieni di figure non troppo vestite. Il livello di adattamento nel gruppo si rivelò molto differenziato: io e Susy trovavamo il tutto divertente, puzza a parte, e avventuroso; qualcuno non chiuse occhio, qualcuno si vestì con tutto quello che aveva dietro non so se per paura delle pulci o per paura che ci rubassero gli zaini, tant’è alle 5 del mattino eravamo al porto pronti per l’imbarco. Destinazione Mikonos. Mare calmo, all’arrivo cielo blu da far male, luce accecante e geranei psichedelici in fiore contro i muri bianchi delle case bianche. Già, le case: belle ma trovarne una che ci ospitasse non fu facile. E infatti non la trovammo. Finimmo in cima ad una collina pietrosa fuori il paese, in quello che oggi si chiamerebbe annesso abusivo non condonato. A dire il vero non era neanche finito, solo cemento grezzo e tende e cartoni alle finestre, e un bagnetto di mezzo metro quadro. Senza finestra. Il pezzo meglio era l’affittuaria, subito soprannominata la “panterona” da Susy per via della tenuta leopardata corredata da calze nere tutte smagliate. O forse per il baffo vistoso. Ma eravamo contenti così, cemento, cartone, donna baffuta e tutto il resto, compreso il pagamento anticipato. Il soggiorno a Mikonos non durò molto: dopo solo tre giorni la panterona infilò nell’annesso non condonato altre tre ragazzi senza dirci niente e noi decidemmo di partire con il primo traghetto per la prima isola.

Toccò a Santorini, e così dall’isola gaia e trasgressiva (beh per i tempi e per l’età, oggi fa un po’ sorridere) ci spostammo nella più meridionale delle Cicladi, assai diversa per frequentazioni e target. Il viaggio lo ricordo mosso, anzi parecchio mosso; ovviamente ci eravamo sistemati tutti sul ponte, finchè il vento e le onde ce lo consentirono...io e Susy infilati nei sacchi a pelo ci divertimmo per un po’ a farli gonfiare dal vento fin quando non cominciava a trascinarci sul ponte. Quando poi i marinai presero a correre in su e in giù per legare con catene pile di sedie che andavano a spasso avanti e indietro, ci ritirammo in coperta insieme agli altri. Il vento da sud non cessò per i tre giorni successivi, stare in spiaggia era impossibile, la sabbia nera di Perissa che volava faceva davvero male e così ci toccò fare i turisti. La gita a Thira e la discesa nell’immensa piscina della caldera fu l’occasione di un bagno in un mare finalmente calmo ma al momento da risalire ci venne la brillante idea di non andare a piedi ma a dorso di ciuco. A me e Susy, non so perchè, ci toccò un ciuco in due, lei davanti e io dietro...la sella era stretta e di legno, mi toccava reggermi al sottocoda. Non fu esattamente piacevole, e ogni volta che l’omino gridava “mulera! mulera!” facendo schioccare la frusta, il ciuco accellerava all’improvviso e ad ogni curva o finivamo sui fichi d’india o ci avvicinavamo pericolosamente al bordo del baratro sottostante; a Susy doveva essere piaciuto, visto che per diverso tempo continuò ad uscirsene all’improvviso con “mulera! mulera!”...Diversamente da Mikonos, la sera non c’era niente da fare, se non guardare le stelle. Susy aveva adottato un piccolo cane giallo, dalla coda lunga e il muso triste. Non era randagio visto che stava alla catena, ma era molto, molto male in arnese e magro da far paura. Dopo avergli portato i nostri avanzi di moussaka, passavamo la sera a levargli le zecche con l’olio solare, mentre gli altri ci guardavano piuttosto schifati. E a dire il vero anche il padrone del cane non sembrò apprezzare più di tanto.

Lasciammo Santorini per Folégandros, la quint’essenza della Grecia fatta isola. Anche lì con l’alloggio, secondo alcuni, non fummo molto fortunati, non che l’isola fosse piena di turisti, semplicemente non c’erano alloggi (anche di turisti a dire il vero pochini nel 1984) e quindi ci accampammo su un tetto con uso bagno e una vista meravigliosa sul paese. E bastava allungare la mano per raccogliere i fichi per accompagnare lo yogurt a colazione. Furono i giorni più belli della nostra vacanza di maturità, le passeggiate tra gli oleandri e l’elicriso, ore e ore al mare a ridere delle nostre scemenze, io sempre più nero e Susy sempre più bionda, un tetto come casa, e la sera dopo cena non c’era altro da fare che rincorrersi con le bottiglie di plastica piene d’acqua per le viuzze silenziose del paese.

Roma
Tempo di scelte. Io mi preparo a partire per Firenze, Susy si prepara per l’esame di ammissione all’Isef. Condividiamo dubbi e aspettative, tanti i primi, confuse le seconde. Andiamo spesso a correre insieme, ogni tanto la aiuto con i test per l’esame. Le giornate si accorciano, ogni tanto piove. L’autunno è arrivato, i girini diventati rane si preparano per l’inverno.

cecilia vittori racconta

sono alla mia terza vita....
....Susy fa parte della mia prima vita. Ci siamo incontrate un giorno e poi insieme abbiamo percorso moltissimi kilometri per condividere esperienze, avventure, studi, risate, gioia, tristezza, difficoltà, kilometri per raggiungere luohi, gente, amori...kilometri che ci hanno unito profondamente per un pezzettino di vita intensa e anche spensierata. Poi ad un certo punto del cammino avremmo dovuto insieme raccogliere le nsotre ossa e percorrere quell'ultimo kilometro che ci avrebbe portato fuori da quell'immenso deserto buio dove ci eravamo addentrate.
Avremmo dovuto rimettere le ossa al posto giusto, aprire occhi, orecchi e cuore per sentire e vedere dove il nsotro cammino proseguiva e con pazienza e forza avviarci. Eravamo alla nsotra prima "Rotonda"*, c'era da sedersi nel praticello in mezzo a guardare, ad aspettare che affiorasse il sentimento che diceva: quello lì è il tuo cammino...vai prendilo...la famosa vocina del cuore!
Ma non ne eravamo capaci.
Susy non ha potuto o non ha voluto affrontare il deserto o magari è duro da dire, lì era arrivato il percorso di questa vita.
Credo che per tutti quelli che le hanno voluto bene il perchè del suo gesto rimarrà un po' un mistero.
Credo fosse stanca.
Troppo spesso situazioni vicine l'avevano appesantita, troppo spesso si era sentita schiacciata da questo peso che, nonostante la sua forza, la sua allegria, la sua vivacità, la sua potenziale apertura alla vita, lei si portava nel cuore.
A volte mascherava e sopportava, a volte diventava seria, lunatica e allora io la stimolavo, la spronavo, inventavamo "fughe"risanatrici...lei ritrovava il sorriso, l'ottimismo, eravamo di nuovo contente...eravamo di nuovo insieme e complici. Ringraziava la sua grande amica "Putti"o Ciotti"o Fantozzi" ... "sei una fica, con il tuo carattere sempre allegro e il tuo modo di affrontare la vita" mi diceva o mi scriveva "sono cintenta, felice di averti per amica! Forse poi l'ho abbandonata? Non l'ho più capita o ascoltata? Sinceraemnte me lo chiedo...mi gisutifico dicendomi che ad un certo punto io pure nonostante il mio "carattere allegro" mi sono persa e non ero più di aiuto nemmeno a me stessa. Non c'era più luce...non c'era una via d'uscita.
Se ci fossimo sedute insieme sul praticello della Rotonda piano piano avrebbe iniziato a filtrare la luce, avremmo iniziato a respirare il nuovo, il giusto, il nostro, avremmo iniziato a sentire e a vedere la nsotra anima.
A fluire.
A svegliarci a questa vita.
E forse io devo il mio risveglio un pò anche a lei e alla sua scelta scioccante.
Ho raccolto le ossa, ho percorso quell'ultimo km faticosissimo, sono uscita dal buio e mi sono seduta nella Rotonda.
Poi è arrivato il segnale e mi sono salvata.
Mi sono salvata grazie all'oceano al suo dolce suono, alla sua immensità... alla giungla con la sua melodiosa amonia silente...mi sono salvata grazie ai viaggi e all'andare. Ho letto una volta in un libro di B.Chatwin "le vie dei canti" che i popoli nomadi sono gli unici al mondo a non soffrire di depressione...ne rimasi colpita e ne ho fatto tesoro. Il moviemnto - In ogni momento di questi 12 anni della mia seconda vita, in cui ero in mare aspettando un'onda con il sole che tramontava davanti a me e la luna sorgev alle mie spalle, con la pace nel cuore , ho pensato a"Se susy fosse qui con me"..............
ogni volta seduta in un bus che mi portava alla scoperta di posti nuovi,gente e culture differenti , mirando a fuera de la ventanilla lo scorrere del paesaggio con la pace nelc uore, ho pensato "Se susy fosse seduta qui accanto a me".........
ogni giorno che mi sono svegliata nella mia adorata casa di bambù con i mille diversi suoni della giungla che mi ingrandivano il cuore ho pensato "se Susy fosse qui con me"! Certamente c'era ma non come avrei voluto. Sicuramente era in qualche livello di questos trano universo "cuidandome". Non ho mai avuto la sensibilità di sentirla ma so che c'era e che c'è!
Il primo ricordo vivo che ho di noi due insieme è percorrendo Ponte duca d'aosta che separava la struttura cnetrale dell'Ise ai palloni di Piazza mancini: lei mi sta raccontando di un suo amore del momento, Luca, di cui però non è molto convinta al contrrio di lui che invece è apparentemente perso per lei.
L'ultimo ricordo vivo che ho di noi due insieme : Susy mi sta raccontando di quell'ultimo bacio dato a Luca finalmente pieno d'amore e di passione ma privo del coraggio per dirglielo. Tra il ponte e il bacio ci sono 7 anni. 7 anni di grande e intensa amicizia. In realtà il primo vero ricordo è lei con la sua tuta grigia con la banda rossa, le superga no sperga blu, una felpa rossa e un pallone in mano, impalata in mezzo al campo da pallacanestro. Mi ispirò tenerezza, simpatia, c'era in lei qualcosa di diverso, la guardavo e la stavo riconoscendo. Ci siamo così incontrate e riconosciute per danzare insieme un momento di vita, di simbiosi. Lo studio, i week end, le vacanze invernali e le vacanze estive. La Grecia e le isole del vento erano la nsotra meta: zaino, sacco a pelo, jeans e superga e si partiva per una nuova avventura. Davamo il meglio di noi stesse: bivacchi nei porti, autostop, la scoperta delle "offferte" paghi uno porti via tre! barche alla deriva. L'albero più bello del campeggio era il nostro accampamento: niente tenda, solo i nostri due sacchi a pelo per terra uno accanto all'altro.Un fantastico letto sotto le stelle! Uno specchio sul tronco dell'albero che ci ospitava....uscivamo di lì pronte e perette come uscisimo da una favolosa suite. Povere ma belle, libere, spensierate, selvagge, felici. Amiche della vita, amiche delle persone incontrate a giro come noi... alcune rimaste poi per un tempo nella vita romana di tutti i giorni:Bruno, enrico e la sua passat station grigia stracolma di gente che ci trasportava da un lato all'altro dell'isola al ritmo dei supertramp! Ricordi vivissimi, è facile chiudere gli occhi e riviverli. Molte moltissime sensazioni.
E se d'estate c'era il mare l'inverno c'era la neve.
Si staccava da tutto per una settimana o due e ci si rifugiava nella sua casa di montagna per godere della ricarica che sciare ci dava. Vi piaceva da matti e lo facevamo bene, scivolavamo rapide ed eleganti sulle belle piste innevatedel trentino, ci divertivamo a cercare qualcuno che ci piacesse da conoscere, magari zio e nipoteo fratello grande e fratello piccolo perchè lei era attratta inevitabilmente dal "vecchietto" e io dal "pischello"! Nessuna competizione!
Giornate fredde, piene di sole o di fitte nevicate, giornate intense, rigeneratrici, divertenti che ci facevano venire la voglia di restare lì per sempre! A viverci quella natura! E invece i giorni volavano e in un baleno si era già sul treno che ci riportava a Roma e alla sua quotidianità. Più cariche e un po' più belle per l'abbronzatura che esaltava i nsotri occhi chiari e luminosi.
La preparazione degli esami di fine anno ci portava invece nella mia casa di campagna.
Lì si studiava e si faceva la dieta! Due cose che insieme per logica non si dovrebbero fare perchè per starci con la testa un po' ci si deve nutrire!
Si partiva da Roma di proposito con pochi soldi così più di tanto non si poteva comprare, al momento della spesa si passavano "ore" con due pacchi di crackers in mano facendo conti assurdi su quanti ce ne erano dentro, quanto ci costava ogni singolo cracker, quante calorie contenevano e alla fine si tiravano le somme e se ne sceglieva uno!
La sera a letto, letti a castello lei sotto io sopra, sognavamo tortellini con la panna e spaghettifumanti e ci si immaginava la nostra futura casa dove nel bagno c'erano due lavandini, due bidet, due tazze due docce .... poi affamate e ormai vaneggianti(deliranti) eravamo costrette ad alzarci preparare una camomilla e tappare il buco inzuppandoci dentro uno dei famosi crackers integrali senza calorie!
Se qualcuno ci invitava cena si accettava con grande gioia, ci si mangiava tutto sotto gli occhi increduli dell'ospite e ci si ritrovava a mezzanotte a fare ginnastica in giardino per smaltire cena e sensi di colpa sotto gli occhi increduli di mio zio hce passeggiava fumandosi l'ultima sigaretta! Due pazze! Pazze in contatto con la nsotra anima, ma non lo sapevamo.
Quando il contatto su è perso sì ne abbiamo pagato il prezzo, il non contatto sì l'abbiamo riconosciuto e sentito. Un grande dolore dentro, buio, debolezza, apatia, incapacità di reagire. Si guardava avanti e c'era il nulla. Ferme nel deserto in balia di tutto. Io dormivo moltissimo per cancellare tutto e non pensare. Susy invece al contrario non poteva dormire, mi telefonava presto la mattina e mi svegliava e io mi arrabbiavo perchè mi tirava fuori dalla mia pace inconscia !!!
Ma si continuava a vivere, l'Isef era finito, eravamo entrate nel mondo del lavoro e della vita "adulta" ....io mi ero pure sposata e con susy ci si vedeva chiaramente un po' meno ma la nsotra amicizia resisteva ai ritmi diversi e si ritagliava comunque momenti di intimità; le nostre cenette a 4 non ce le toglieva nessuno:Susy, Ale, carla ed io, ci rinchiudevamo nella cucina di casa mia e giù a chiacchierare. A chiaccheirare di tutto. Di tutto.
E' per questo che quando lei quella sera formulò quella domanda non destò preoccupazione o sentore di pericolo, pechè si' eravamo in un bel momento di depressione ma se ne parlava, di questo e di molte altre cose. Ma lei chiese "voi come lo fareste?" "faremmo cosa?" "Come vi suicidereste?" Ci sembrò una domanda come un'altra perchè non ci insospettimmo, anzi giù a rispondere! Pistola, barbiturici, gas....solite modalità da film!
Poi quella mattina il telefono squillò troppo presto, ci svegliò e dall'altra parte c'era la voce monotona di teresa che mi diceva che susy aveva fatto una pazzia, e si era buttata dal sesto piano del suo palazzo....io la ascoltavo incredula pensando ma che sta a dì .... cercavo di dare un senso alle sue parole ....sono rimasta incollata al letto in posizione orizzontale e le ho chiesto "dove sta? Sta in ospedale?". Il fatto che potesse essere morta non l'ho proprio pensato, al massimo la sua pazzia avrebe potuto portarla all'ospedale ma morta no, Susy è forte, bella e resistente, lotterà ma ce la farà....e invece la risposta inesorabile fu che non ce l'aveva fatta!
A distanza di anni posso sinceramente dire che non so che mi è successo. L'ultimo ricordo vivo è quella telefonata poi c'è la nebbia........lo stupore, l'incredulità il dolore la rabbia hanno resettato tutto....semplicemnte non mi ricordo ...non ho nessun ricordo di quei giorni, non ho nessun ricordo del suo funerale....ho solo mille ricordi del nsotro tempo insieme e mille in più sono riaffiorati scrivendo di lei. guardo le fotografie e siamo noi appena un attimo fa ....
Sempre sarà la mia grande e unica amica Susy compagna di una vita intera.